Quel che francamente più mi ha stupito dell’appello firmato da alcune centinaia di professori universitari contro l’introduzione dell’obbligatorietà del green pass per accedere alle sedi universitarie sono le contestuali dichiarazioni rilasciate dal suo sottoscrittore più noto, lo storico Alessandro Barbero. Costui, come è noto, sostiene di non appartenere alla schiera dei no vax, tanto da aver detto di essere non solo vaccinato ma, pur con qualche dubbio, disposto a schierarsi a fianco del governo nel caso in cui quest’ultimo vari l’obbligo vaccinale.
Il mio stupore nasce dal fatto che in apparenza tra il testo dell’appello e le dichiarazioni di Barbero che ho appena sintetizzato sembra esserci uno iato enorme. Nel primo si legge infatti che il green pass discriminerebbe gravemente una minoranza, violerebbe la Costituzione e i regolamenti dell’Unione europea, amputerebbe studenti e docenti non vaccinati del diritto fondamentale di accedere alle aule universitarie introducendo un’intollerabile separazione tra cittadini di serie A e di serie B e riporterebbe alla mente non meglio precisati «precedenti storici che mai avremmo voluto ripercorrere».
È del tutto evidente che, vista dalla prospettiva dei firmatari dell’appello, la vaccinazione obbligatoria non farebbe che peggiorare la situazione, dal momento che costringerebbe lo Stato a sospendere, in una situazione di emergenza e al fine di tutelare la salute collettiva, il diritto di ciascuno di rifiutare l’esecuzione sul proprio corpo di un trattamento sanitario. E allora perché prof più televisivo di tutti insiste a dichiararsi favorevole a quest’ipotesi? Qual è la logica di Barbero?
A sentir lui, la motivazione di questa opzione sarebbe la seguente: la vaccinazione obbligatoria comporterebbe, da parte dello Stato, una piena assunzione di responsabilità e la rinuncia a ogni forma di ipocrisia sulla necessità della vaccinazione. Si tratta di un ragionamento piuttosto stravagante spiegabile, a mio modesto parere, solo aggiungendovi una parte che Barbero non esplicita, ma a che me sembra inevitabilmente sottesa alle sue parole e che suona così: se lo Stato varasse la vaccinazione obbligatoria e si impegnasse a stanare i no vax e a inoculare loro il vaccino con la forza mostrerebbe finalmente il suo vero volto, la sua ferocia autoritaria, la sua attitudine a calpestare ogni diritto e ogni libertà in nome di un interesse del tutto arbitrario e parziale.
Chiunque abbia a cuore la sconfitta della malattia e al tempo stesso la salute della democrazia spera che il numero di vaccinati aumenti in queste settimane sino a raggiungere l’immunità di gregge, che non sia necessario per lo Stato italiano ricorrere all’obbligo tout court, che il green pass (esteso ora alle aziende private) si riveli una misura sufficiente per indurre buona parte degli scettici finalmente a vaccinarsi.
Barbero non appartiene a questa schiera, ma piuttosto a quella di coloro che preferirebbero una misura estrema a quelle più moderate, in modo che risulti evidente una volta per tutte la natura violenta e discriminatoria del potere statale. Questo è, ne sono convinto conoscendone un buon numero, un argomento gradito a molti dei firmatari dell’appello, anarchici di sinistra che, accanto a tante difformità, condividono con gli anarcoliberisti alla Sgarbi e alla Borghi l’insofferenza per le decisioni collettive, per il potere pubblico, immancabilmente ritratto come oppressore e nemico delle libertà degli individui.
Le due versioni dell’anarchismo si toccano mostrando una solidissima radice comune, forse più profonda di tante differenze. La domanda che viene da farsi è perché, divenendo professori, costoro si siano messi al servizio di quel Leviatano che tanto avversano, perché non risolvano la contraddizione di servire un ente che detestano saltando il fosso e cambiando datore di lavoro. Perché non lo fanno? L’università pubblica non è certo l’unico luogo nel quale si può produrre ricerca e cultura.
L’autore: Marco Marzano è saggista e professore ordinario di Sociologia all’Università di Bergamo
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