In tutta Europa sembra emergere la tendenza a una minore partecipazione elettorale. Dobbiamo preoccuparci? Forse no. Una bassa affluenza può segnalare che i cittadini non sono poi così insoddisfatti da sentire la necessità di andare a votare. Quando sono davvero preoccupati si presentano alle urne in massa, come hanno fatto gli americani per liberarsi di Trump. Una scarsa partecipazione può anche dipendere dal fatto che gli elettori non vedono grandi differenze tra i partiti in corsa, che convergono su una linea ragionevole. Certo, può anche essere espressione di un senso di disperazione: gli eletti si rivelano impotenti, imbrigliati da vincoli superiori o costretti a compromessi percepiti come rese. Oppure fanno cattivo uso del potere che riescono ad afferrare.
Sbarazzarsi delle elezioni, tuttavia, non sarebbe d’aiuto. È meglio essere governati da persone che abbiamo scelto, invece che da noi stessi. Dove troveremmo il tempo? O da persone scelte a caso. Chi le sanzionerebbe se facessero un cattivo lavoro? Pur tuttavia, è vero che la maggior parte dei sistemi elettorali ha bisogno di riforme. E attuare tali riforme non è mai compito facile, visto che chi ha il potere di cambiare il sistema è al potere proprio grazie a quello stesso sistema. Il principio guida di ogni riforma elettorale dev’essere quello di rendere la democrazia elettorale uno strumento quanto più efficace possibile, al servizio di un processo decisionale e…
* L’autore: Philippe Van Parijs, filosofo, economista e giurista belga, insegna Etica economica e sociale all’Università di Lovanio ed è uno dei principali teorici del reddito di base. Questo suo contributo è tratto da un’intervista a cura di Lucille Lacroix, condotta nell’ambito del progetto Redem, coordinato dall’Istituto di studi politici di Parigi. Van Parijs interviene alla VII edizione della Biennale democrazia, in programma dal 6 al 10 ottobre a Torino
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