Non vi è dubbio ormai che l’azione più incisiva sia una transizione da un sistema estrattivista e iper-consumerista, basato sull’impiego dei combustibili fossili – causa principale dei cambiamenti climatici – verso fonti energetiche alternative e rinnovabili. Una trasformazione che la comunità internazionale potrà affrontare solo unita, attraverso il dialogo multilaterale e la cooperazione

Noam Chomsky ha definito il presente in cui viviamo come “il momento più pericoloso che la storia dell’umanità si sia mai trovata ad affrontare”. Sembrerebbe una provocazione, considerati altri periodi bui della nostra storia. Eppure, un’affermazione di questo tipo ci esorta ad un’indagine più profonda. Dinanzi alla crisi ecologica, e alle predizioni della scienza, ciò che scegliamo di fare, o di non fare, in questo momento storico, definirà l’esistenza di molte generazioni a venire.
Lo scenario è ormai noto: la scienza indica inequivocabilmente la natura antropogenica dei cambiamenti climatici e l’obiettivo di mantenere le emissioni di gas serra al di sotto di un innalzamento di 1,5°C. Obiettivo necessario, per esempio, per la sopravvivenza delle nazioni insulari. Gli attuali piani nazionali produrrebbero invece un innalzamento della temperatura a fine secolo di 2,7-3,3°C. Significa che se manterremo questo modello di sviluppo, saranno le basi della convivenza umana ad essere minacciate.
Tuttavia, la scienza del clima indica anche che, se si raggiungesse la soglia delle zero emissioni nette entro il 2050, l’aumento delle temperature inizierebbe a recedere e così anche eventi estremi come incendi, alluvioni, inquinamento dell’aria, cui si devono milioni di morti ogni anno (fonte Organizzazione Mondiale della Sanità).
Non vi è dubbio che l’azione più incisiva sia una transizione da un sistema estrattivista e iper-consumerista, basato sull’impiego dei combustibili fossili – causa principale dei cambiamenti climatici – verso fonti energetiche alternative e rinnovabili. Una trasformazione che la comunità internazionale potrà affrontare solo unita, attraverso il dialogo multilaterale e la cooperazione. Le emissioni europee di gas serra, infatti, ammontano al 9% del totale, quelle della Cina al 30%, degli USA al 16%, e quelle dell’India al 7%. È evidente come la traiettoria verso la necessaria neutralità climatica entro il 2050 dovrà inevitabilmente essere condivisa. Significa un impegno globale per una rapida eliminazione dei combustibili fossili a partire dalle centrali a carbone, dei sussidi a queste fonti e della costruzione di nuovi impianti estrattivi o della concessione di nuove licenze. Sempre insieme, si dovrà garantire una finanza per il clima a sostegno dei paesi più vulnerabili che maggiormente subiscono l’impatto dei cambiamenti climatici, pur non avendo contribuito – se non in maniera marginale – all’innalzamento della temperatura globale e che, per sopravvivere, sono costretti ad attuare misure di adattamento ai mutamenti del clima.
La transizione ecologica, però, non si può esaurire in una mera transizione energetica. Il rischio sarebbe quello di fare una transizione ecologica senza ecologia. I cambiamenti climatici sono solo la punta di un iceberg, la cui parte sommersa non è formata solo da combustibili fossili, ma anche da agricoltura industriale, allevamenti intensivi, perdita di biodiversità a favore delle monocolture, acidificazione degli oceani, deforestazione; in altre parole, da un sistema di relazione con la Terra di tipo predatorio.
Per cambiare il sistema di dominio che caratterizza l’Antropocene, l’era in cui viviamo, necessitiamo di un cambiamento radicale del nostro relazionarci alla Natura. Se “il mondo è in fiamme” – una delle frasi più conosciute del Buddha – la strada e gli strumenti per affrontare e spegnere l’incendio sono, prima di tutto, dentro la nostra mente e nello sviluppo di una mente ecologica.
Il filosofo norvegese Arne Naess coniò il termine “ecologia profonda” per indicare un’ecologia che va oltre il “movimento che lotta contro l’inquinamento e l’esaurimento delle risorse” (definito con il termine di “ecologia di superficie”), incentrato su azioni per l’uomo, posto a sua volta al di sopra e al di fuori della Natura. Con l’ecologia profonda si supera il concetto dualistico di “ambiente dell’uomo”: l’uomo è Natura.
Alla base della crisi ecologica, dunque, vi è una crisi del Sé che si percepisce separato dalla Natura. Da questa ignoranza cognitiva derivano avidità, eccessivo individualismo, cultura dello spreco e dell’iper-consumismo. Sentirci come esseri separati dalla Natura significa pensare alla Terra in termini di proprietà, e alle risorse naturali come oggetti passibili di sfruttamento. “Fare pace con la Natura” (è questo l’appello del Segretario Generale dell’ONU) significa, invece, riconoscersi in una relazione di connessione e reciprocità con la Terra, significa spostare lo sguardo e trasformare una visione antropocentrica in eco-centrica, nel riconoscimento dell’interdipendenza di ogni forma di vita e della sacralità di ciascuna forma di vita, nel vedere la cura della nostra casa comune come cura di noi stessi.
La rigenerazione del pensiero, si potrebbe dire, è alla base della rigenerazione dell’ecosistema.

Rigenerare significa guarire le ferite, riconoscendole. Significa curare, ricostruire apportando maggior valore e ancor più bellezza. È possibile, lo dice anche la scienza. Come i maestri dell’arte del Kintsugi, che riparano i cocci con l’oro e rendono l’artefatto ancora più prezioso, unico in quanto diverso, così le terre inaridite e desertificate possono rifiorire attraverso l’agricoltura rigenerativa praticata dai piccoli contadini e apicoltori, artigiani della bellezza e della bio-diversità; mentre la creazione di comunità energetiche, compiendo una rivoluzione gentile, fa riscoprire il valore dell’impegno comune; e architetti urbanistici progettano edifici in grado di assorbire gli impatti climatici nelle periferie.

La crisi ecologica è dunque il modo in cui la Terra ci sollecita a “svegliarci o subirne le conseguenze”.
Il potere ultimo di cambiare non risiede nelle tecnologie, ma nella saggezza della comprensione dell’inter-essere (“colui che si prende cura di se stesso si prende cura degli altri, e colui che si prende cura degli altri si prende cura di se stesso”*). È dalla comprensione di una interdipendenza profonda – noi siamo Natura – che scaturisce l’impegno all’azione.
Con la Dichiarazione sui cambiamenti climatici ai Leader mondiali, la comunità buddhista consegna un messaggio di speranza che si traduce in azione: “Coltivando uno sguardo interiore e la compassione, saremo in grado di agire per amore, non per paura, per proteggere il nostro Pianeta”. Agire per amore e non per paura. L’invito è quello di non essere sopraffatti dalla disperazione, ma di agire con coraggio. La via della salvezza non è evitare i tempi difficili, fuggendo dal mondo, ma saper rispondere in maniera appropriata: agire dove occorre, quando occorre e come occorre. Ciascuno di noi ha un ruolo e il potere di esercitarlo.

L’attivismo ecologico non è un sentiero facile. Dinanzi alla crisi ecologica, alle moltissime informazioni che riceviamo, immagini talvolta terrificanti che ci arrivano (foreste che bruciano, animali che soffrono), potrebbe essere facile cadere nella trappola della frustrazione, della rabbia, della reazione, del puntare il dito, o anche di rimanere paralizzati.
Tuttavia, una spinta reattiva risulta essere divisiva con il rischio di esacerbare distruzione ecologica ed esclusione sociale. È dunque cruciale seguire un percorso sia personale che comunitario inclusivo, non violento e rigenerativo, nella consapevolezza dell’interconnessione, di far parte di un ecosistema e di non esserne padroni.

È con questo lavoro di decolonizzazione e trasformazione del pensiero, di liberazione da quel bagaglio concettuale in eccesso che si è accumulato per la nostra esclusiva attenzione, di rigenerazione personale e collettiva che piantiamo i semi per il fiorire dell’armonia con la natura. I cambiamenti climatici ci spingono a iniziare a vivere questo futuro ora.

*L’autrice: L’esperta in diritto internazionale dell’ambiente Silvia Francescon, componente del comitato esperti G20 del gruppo di lavoro energia e clima presso il Ministero della transizione ecologica e responsabile agenda ambiente dell’Unione buddhista italiana, sarà una degli ospiti di KUM! Festival (15-17 ottobre), manifestazione dedicata alla cura e alle sue diverse pratiche. Sabato 16 ottobre alle ore 12 alla Mole Vanvitelliana di Ancona parlerà, assieme a Monica Colli, Caterina Giavotto e Giovanna Giorgetti.

Foto di Christo Ras da Pixabay