Le dichiarazioni del presidente di Grafica Veneta dopo il patteggiamento di due manager dell'azienda per sfruttamento di alcuni lavoratori pakistani

Ricordate la vicenda di Grafica Veneta? A luglio di quest’anno vennero arrestati Giorgio Bertan e Giampaolo Pinton, rispettivamente amministratore delegato e direttore dell’area tecnica di Grafica Veneta, insieme ad altre 9 persone con l’accusa di sfruttare alcuni lavoratori pakistani oltre all’accusa di essere a conoscenza di gravi episodi di caporalato nei confronti degli operai. Se ne parlò molto perché Grafica Veneta stampa i libri che abbiamo tutti negli scaffali e che si trovano dappertutto, i titoli più famosi e venduti, e se ne parlò molto perché a maggio 2020 uno di loro venne trovato con le mani legate dietro la schiena, dopo essere stato pestato, lungo la Statale 16 a Piove di Sacco, poi nei comuni confinanti, ne spuntarono altri quattro e poi altri cinque si presentarono al pronto soccorso di Camposampiero dicendo di essere stati picchiati, seviziati e rapinati di documenti e telefoni.

Secondo il gip, il raid «altro non era che una punizione riservata ai lavoratori che stavano maturando il proposito di ribellarsi (…), recandosi presso un sindacato per avere informazioni sui propri diritti». I lavoratori raccontarono di avere una busta paga di 1.100 euro mensili ma da quei soldi venivano trattenuti «l’affitto di 120 euro e ulteriori 200, 300 o 400 euro». Il tutto, sosteneva l’accusa, per aumentare i profitti di Grafica Veneta, che era «perfettamente consapevole del numero di ore necessarie per svolgere il lavoro che appalta e non a caso, disponendo delle timbrature dei dipendenti Bm Service», aveva «fatto di tutto per non consegnarli alla Polizia giudiziaria». «Nonostante le solide condizioni economiche e la possibilità di operare in maniera regolare», spiegava il procuratore di Padova Antonino Cappelleri, i dirigenti erano «riusciti a delocalizzare un settore nella loro stessa sede, appaltando manodopera a prezzi bassissimi».

Era un perfetto esempio di un modello di imprenditoria che qui da noi funziona così, alla faccia dei diritti che sono solo sulla carta e alla faccia delle lamentele di certi imprenditori che si lamentano di non trovare schiavi. Ai tempi Fabio Franceschi, patron di Grafica Veneta, si disse all’oscuro di tutto e profondamente addolorato, dicendo le solite frasi che si dicono in questi casi («confidiamo nella giustizia») e addirittura proponendo “una donazione” (perché gli faceva schifo pronunciare la parola esatta: risarcimento) ai pakistani.

Com’è finita? I due manager di Grafica Veneta hanno patteggiato. Quindi evidentemente le indagini non erano così fantasiose. Ma in un’orrenda intervista a La Stampa Franceschi dismette le vesti da pentito e mostra la sua vera natura. Dice che i suoi collaboratori hanno patteggiato perché: «La nostra è un’azienda in grande crescita, che non può permettersi di restare concentrata su un problema risolvibile con una sanzione amministrativa. Hanno patteggiato su consiglio degli avvocati e ora sono di nuovo operativi». Insomma, avrebbero accettato di riconoscersi colpevoli di accuse false per non perdere fatturato. Non male, eh?

Ma il meglio deve ancora venire. Accusa i pakistani di avere calunniato la sua celebre impresa (lo sfruttamento lo definisce «un mucchio di falsità», deve essere per questo che hanno patteggiato), dei lavoratori picchiati e legati al bordo della strada dice «avevano la mascherina in faccia per calunniarci. Uno era vestito come uno zingaro», del fatto che vivessero ammassati come topi dice «loro sono un po’ così, pulizia e bellezza non è che facciano parte della loro natura. Comunque vivevano in otto in una casa grande, due in una stanza. Neanche male» e poi si supera comunicandoci la sua visionaria soluzione: «Pakistani, nella mia azienda, non ne voglio più. Hanno litigato, si sono bastonati e ci hanno accusato di un mucchio di falsità. E in cinque anni non hanno imparato una parola di italiano».

Ed è incredibile come un processo concluso con un patteggiamento riesca comunque a dirci molto meno di tutta la natura che invece esce in un’intervista. Perché alla fine la natura non riescono a trattenere. E con la natura, si sa, non si patteggia.

Buon lunedì.

 

 

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Autore, attore, scrittore, politicamente attivo. Racconto storie, sul palcoscenico, su carte e su schermo e cerco di tenere allenato il muscolo della curiosità. Quando alcuni mafiosi mi hanno dato dello “scassaminchia” ho deciso di aggiungerlo alle referenze.