La ministra Lamorgese decide di nominare Roberto Maroni per guidare la Consulta contro il caporalato. Il governo dei migliori, si sa, per sua costituzione deve tenere dentro tutti e la ministra deve avere pensato che non ci fosse modo migliore per rispondere agli attacchi di Salvini di queste settimane nominando un suo nemico interno, come se non avesse già abbastanza problemi dopo i pessimi risultati delle amministrative.
Maroni del resto è lo stesso che in questi ultimi mesi non ha lesinato critiche al segretario della Lega (nonostante l’abbia inventato lui, ve lo ricordate?, quando prese a ramazzare con la scopa di saggina una Lega che era ai minimi storici per i disastri combinati da Umberto Bossi): «Umberto Bossi, stratega per eccellenza, aveva una visione», disse Maroni al Foglio. «Usava me come tattico, sì, ma si capiva che guardava lontano. E io non voglio certo parlare male di Salvini, però insomma, qui la tattica rischia di sconfinare nell’assenza di progetto per il domani della Lega. Non a caso i governatori sul territorio non ragionano così». Sempre sul Foglio Maroni attaccò Salvini quando si trattò di trovare un candidato in Regione Lombardia (poi ci misero Fontana) e qualche malalingua disse che Maroni puntasse a un ministero: accusò Salvini di aver usato nei suoi confronti «metodi staliniani». «In tanti si affannano a dire che io non sarò ministro», spiegò Maroni, «ma chi vuole fare il ministro? Non pretendevo di sentirmi dire che sono stato un bravo governatore, pretendevo però che il segretario del mio partito non utilizzasse la mia scelta di vita per cercare di colpirmi». E poi l’affondo: «Io sono un leninista convinto, uno che crede nella leadership. Ma non avrei mai creduto di trovarmi di fronte un leader stalinista».
Qualcuno gode: guardate che bello scherzetto ha fatto Lamorgese a Salvini, si dicono dandosi di gomito, come se il governo fosse una cosa talmente poco seria da poter diventare il cortile delle scaramucce. Pochi, vedo, rimangono sul punto: nominare in un ruolo così delicato per quanto riguarda disperazioni e diritti un ex ministro dell’Interno che diede il via alla stagione dei respingimenti (con tanto di condanna all’Italia, come nel caso Hirsi), un ex ministro che difese con i denti quella legge Bossi-Fini che creò la sacca di disperati invisibili che sono il serbatoio perfetto per il caporalato, un ex ministro che voleva prendere le impronte digitali ai bambini rom, un ex ministro che volle il trattenimento nei Cie per 18 mesi è un’evidente scelta politica. Una pessima scelta politica.
Lo dice benissimo l’associazione Terra! (che di caporalato si occupa da anni) che nel suo comunicato scrive: «Desta stupore la decisione di istituire un ulteriore organo – oltre al già esistente Tavolo Caporalato – presieduto dagli stessi Ministeri e impegnato nella stessa missione, cioè l’attuazione del Piano Triennale di contrasto allo sfruttamento lavorativo. Riteniamo infatti che la moltiplicazione dei luoghi deputati a dare impulso alle iniziative contro il caporalato abbia come effetto il rallentamento dei processi decisionali e, quindi, il raggiungimento degli obiettivi. La scelta della ministra Lamorgese – dichiara Fabio Ciconte, direttore di Terra! – ha come effetto l’indebolimento degli spazi di democrazia, di confronto e dialogo sul tema del caporalato, che ci ha visti finora protagonisti, al fianco dei sindacati e di tante reti associative, nel ripensamento della filiera agroalimentare e nella tutela dei diritti di tutti gli attori del comparto. Affidare ad una personalità con la storia e le idee di Maroni la presidenza di un organo che replica le azioni portate avanti in altri Tavoli, renderà complicata la consultazione degli attori coinvolti nell’azione di contrasto». E ancora: «Conosciamo bene la storia politica dell’ex ministro del Lavoro e dell’Interno, e del suo partito, la Lega, che negli anni scorsi ha contribuito a creare nel paese un clima di persecuzione nei confronti delle persone migranti, che risiedono nelle nostre città e lavorano nelle nostre campagne. Da oggi, a Roberto Maroni viene affidata una delle sfide più difficili del nostro tempo: il contrasto allo sfruttamento di quelle stesse persone che lui e i suoi colleghi di partito avrebbero voluto espellere, spesso residenti negli insediamenti informali che punteggiano la nostra penisola, sgomberati con forza negli anni in cui alla testa del Ministero dell’Interno c’era Matteo Salvini. La nomina giunge come un attacco netto a tutte le vittime di caporalato e anche a quelle associazioni, come la nostra, che, nel corso di questi anni, si sono spese con determinazione per l’approvazione della legge anti caporalato, un provvedimento criticato e deriso dalla Lega, che più volte ha chiesto di modificarlo, ritenendolo “persecutorio” nei confronti dei datori di lavoro e dei caporali».
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