L’Ungheria e altri undici Paesi a guida reazionaria e xenofoba vogliono impedire l’ingresso in Europa a chi fugge dal terrore dei talebani, chiedendo all’Ue fondi milionari per erigere muri. La risposta pilatesca di Bruxelles: niente soldi, semmai costruiteveli da soli

Immagini dall’Europa Fortezza. Al largo delle coste libiche e di quelle tunisine, continuano, fra silenzio e rassegnazione, i naufragi, l’inesorabile perdita di vite umane che da oltre 30 anni caratterizza il Mediterraneo centrale. Sogni di vita da vivere che si infrangono contro un muro invalicabile. Un muro fatto di leggi, che spesso violano Convenzioni internazionali, di acqua che travolge i fuscelli su cui ci si imbarca, dell’ipertecnologia fallimentare di Frontex, di respingimenti collettivi favoriti dai governi libico e tunisino ma attuati grazie a droni che partono da basi italiane. Ora un altro muro, un’altra immagine. Il 7 ottobre scorso è arrivata alla Commissione europea una lettera firmata dai governi di 12 Paesi: capofila l’Ungheria di Orban, a seguire i governi reazionari e ultracattolici dell’Est Europa fino a quelli di Grecia, Cipro e Danimarca. Cosa chiedono costoro a Bruxelles? Soldi, milioni e milioni di euro per realizzare una barriera orientale – muri, filo spinato e altri strumenti “dissuasori” – che faccia da argine soprattutto i profughi della nuova crisi umanitaria, quella afghana.

La richiesta, odiosa e provocatoria, si può smontare con gli strumenti della conoscenza e dei dati reali. Intanto è comprovato da decenni che oltre il 90% di coloro che fuggono dall’Afghanistan (come se non bastasse il fondamentalismo dei talebani ora la popolazione deve fare i conti anche con gli attentati dell’Isis) si ferma nei Paesi confinanti, in particolare Iran e Pakistan. Quest’ultimo soprattutto con la sua frontiera porosa, la Durand line, dal nome del Segretario degli Esteri del raji (impero) britannico, detta anche zero line, rappresenta dal 1893 un confine mai totalmente riconosciuto. In futuro Islamabad potrebbe chiedere sostegno Ue o delle Nazioni Unite per i campi profughi afghani, utilizzando – come già fa da anni Erdogan con i siriani – tale disponibilità come arma di ricatto.

Ma accettiamo pure che una parte dei cittadini afghani in pericolo di vita cerchino di forzare le frontiere per arrivare in Europa. Intanto i rischi del tragitto sono enormi e i tempi per attraversare un continente sono talmente lunghi da non poter dar luogo a nessun grande spostamento. Quelli di cui ogni tanto abbiamo notizia, sui camion che attraversano la rotta balcanica o che arrivano in Calabria dalla Turchia, sono partiti oltre un anno fa, ben prima della crisi attuale. La Commissaria europea agli affari interni Johansson, nell’incontro del Consiglio d’Europa che si è tenuto l’8 ottobre ha dichiarato di…


L’articolo prosegue su Left del 22-28 ottobre 2021

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