Le donne texane devono difendersi da uno Stato che vuole negare il diritto all’interruzione volontaria di gravidanza ricompensando con 10mila dollari chi le denuncia. Non si tratta di respingere un attacco solo alla propria dimensione fisica, ma anche all’identità. E potrebbe accadere anche da noi

Prendiamo il caso di una ragazza di 21 anni, Norma McCovey, che rimane incinta per la terza volta senza desiderarlo. Ha avuto un passato difficile, non si sente in grado di portare avanti la gravidanza e crescere un figlio. Torna in Texas, dove è cresciuta, ma si scontra con la legge dello Stato che le impedisce di abortire. Le prova tutte, anche mentendo, ma non c’è nulla da fare: McCovey è costretta a portare a termine la gravidanza contro la sua volontà perché non riesce ad accedere all’interruzione di gravidanza né legalmente, né illegalmente.
Questa storia risale agli anni tra il 1969 e il 1973, ma potrebbe essere benissimo ambientata nella Dallas di oggi. Norma McCovey altro non è che il vero nome di Jane Roe, la protagonista della storica sentenza Roe v. Wade del 1973 che ha reso l’aborto legale a livello federale, sancendo il diritto all’aborto e quello alla contraccezione come parte del diritto alla privacy della donna, normato dal IX e dal XIV Emendamento alla Costituzione statunitense.

Da quando è entrata in vigore la Roe v Wade, che pur essendo una sentenza della Corte Suprema in un sistema di common law come quello statunitense ha valore di legge, sembra che gli Stati più conservatori non abbiano fatto altro che cercare un modo per farla ribaltare, to be overturned. I tentativi sono stati numerosi, ma sembra che il governatore del Texas Greg Abbott e la sua squadra al Senato statale siano andati molto vicini a trovare la formula perfetta per aggirare quanto prescritto nella sentenza del 1973 e impedire, nella pratica dei fatti, alle donne di abortire. All’inizio di settembre, la Corte Suprema degli Stati Uniti ha confermato la legalità del Senate Bill 8 (Sb8), un provvedimento che rende illegale abortire all’interno dei confini del Texas oltre la sesta settimana di gravidanza anche in caso di incesto, stupro o malformazioni del feto. Non è la prima volta che uno Stato conservatore presenta una cosiddetta heartbeat law (chiamata così perché il limite massimo consentito per accedere all’interruzione di gravidanza è il momento in cui è possibile rilevare il battito cardiaco del feto): nel 2019 ci avevano provato anche in Georgia, salvo poi scontrarsi con l’incostituzionalità del decreto presentato.

Quella preparata dal senatore texano Brian Hughes, invece, sembra essere la tempesta perfetta delle leggi antiabortiste: a far rispettare la Sb8 non sarà un pubblico ufficiale, ma i cittadini stessi. Sono loro gli incaricati in questo meccanismo di delazione che viene retribuito (o, come scrive la legge, “risarcito”) ben 10mila dollari. In pratica un texano si apposta nei pressi di una clinica dove si praticano aborti, spia la donna che si sta rivolgendo al medico di turno e…


L’articolo prosegue su Left del 22-28 ottobre 2021

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