Mentre stiamo lavorando alla nuova e più che mai urgentissima storia di copertina dedicata alla lotta contro il climate change e per la giustizia sociale in vista della prossima Cop26, dalla Sicilia e dalla Calabria arrivano notizie e immagini drammatiche di eventi atmosferici di straordinaria violenza. Strade allagate, auto sommerse, il dramma di persone morte e disperse. I quotidiani hanno parlato di un uragano mediterraneo. Ancora una volta non possiamo limitarci alla cronaca. Con il pensiero rivolto ai cittadini catanesi e di altre località del Sud colpite dal nubifragio constatiamo purtroppo che gli eventi climatici avversi ed estremi si moltiplicano da anni nel mondo. Gli scienziati ci hanno avvertito già da tempo: se non invertiamo rapidamente la rotta molte città costiere e ricche d’arte sono a rischio, la stessa Venezia sarà sommersa entro il 2050. I giovani dei Fridays for future con molta più sensibilità di noi adulti lanciano l’allarme da anni. E lo fanno con sensibilità, ma anche con straordinaria competenza e lucidità come traspare chiaramente dall’incisivo articolo di Luca Sardo che pubblichiamo ad apertura e che squaderna con chiarezza i cinque obiettivi essenziali che Cop26 dovrebbe fissare pena il suo totale fallimento. Staremo a vedere, ben sapendo che la storia dei fallimenti alle spalle è già lunga. Qui si parrà la vostra nobilitate, dicono i Fridays for future, avanzando concrete proposte ai grandi che pretendono di essere tali e che si radunano a Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre. Vediamo se tragicamente tutto si ridurrà a un “bla, bla, bla”, per dirla con la sintetica ed efficace espressione di Greta Thunberg, che perfino Draghi ha ripetuto insieme ad altri leader e ministri non sappiamo quanto davvero consapevoli degli impegni seri che implica. La partita contro il climate change è gigantesca e beninteso non pensiamo che basti un summit a risolverla. Ma passi avanti auspicabili e necessarissimi possono e dovrebbero essere fatti. Certo il quadro politico globale che si profila all’orizzonte è inquietante e non può essere in alcun modo ignorato. Non solo come dicevamo, per il moltiplicarsi di eventi climatici avversi e improvvisi, non solo per il consistente innalzamento del livello dei mari, ma anche per la crescente ingiustizia sociale collegata a questi fenomeni. Ricordiamo che l’86% delle emissioni globali di CO2 è responsabilità dei Paesi più ricchi, e che sono i Paesi più poveri, quelli del sud del mondo, a soffrire maggiormente degli effetti devastanti prodotti da tutto questo. Il fenomeno dei migranti climatici, grandi masse di persone costrette ad abbandonare le proprie terre a causa di siccità, fenomeni di desertificazione ecc., è sotto gli occhi di tutti. Ma anche rispetto a questo l’Europa e i Paesi più ricchi si voltano dall’altra parte, arroccandosi, fra molti pretestuosi distinguo, facendo agghiaccianti classifiche fra rifugiati che fuggono da guerre, e chi invece fugge dalla miseria o da condizioni climatiche insostenibili. Il problema si farà ancora più pressante nei prossimi anni, ne siamo tutti consapevoli? Intanto le grandi potenze giocano a domino sullo scacchiere internazionale. Non parliamo solo dei Paesi che presenzieranno alla Cop26 di Glasgow, ma anche e soprattutto a quelli che non ci saranno, a cominciare dalla Russia e dalla Cina, per non dire dell’Arabia Saudita che basa la propria potenza economica e politica sui combustibili fossili. Fra tutti questi sarà Pechino a giocare un ruolo di player internazionale. La sua strategia non è facile da leggere e interpretare. Se da un lato la Cina, la cui struttura energetica è ancora dominata dal carbone, dice no a Glasgow dall’altra lancia un proprio programma di “diplomazia climatica” volendo lasciare un segno sui negoziati sulla biodiversità e sul clima. «Faremo dello sviluppo di una civiltà ecologica la nostra guida per coordinare il rapporto tra uomo e natura», ha detto di recente Xi Jinping nel suo discorso all’apertura del cerimoniale di Cop15 nello Yunnan. Il presidente cinese ha annunciato un fondo di 233 milioni di dollari (come investimento iniziale) per proteggere la biodiversità nei Paesi in via di sviluppo. Una misura solo propagandistica? Tanto più sarebbe importante dunque che i Paesi che aderiscono a Cop26 prendessero decisioni significative. Non bastano operazioni di maquillage. Come ribadiamo con questa storia di copertina - che mette in rete molte competenze diverse di scienziati, economisti, giuristi - serve un vero e proprio cambio di paradigma nel modo di produzione, negli stili di vita, nel modo di concepire il rapporto con il pianeta, liberandoci del capitalismo predatorio in cui siamo immersi e oppressi, rimettendo al centro il benessere psico-fisico delle persone, la tutela dell’ambiente, dando valore alla socialità in un rapporto non distruttivo con l’ambiente. Basta trasformare il mondo è tempo di trasformare noi stessi. [su_divider style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]
L'editoriale è tratto da Left del 29 ottobre 2021
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Mentre stiamo lavorando alla nuova e più che mai urgentissima storia di copertina dedicata alla lotta contro il climate change e per la giustizia sociale in vista della prossima Cop26, dalla Sicilia e dalla Calabria arrivano notizie e immagini drammatiche di eventi atmosferici di straordinaria violenza. Strade allagate, auto sommerse, il dramma di persone morte e disperse. I quotidiani hanno parlato di un uragano mediterraneo. Ancora una volta non possiamo limitarci alla cronaca. Con il pensiero rivolto ai cittadini catanesi e di altre località del Sud colpite dal nubifragio constatiamo purtroppo che gli eventi climatici avversi ed estremi si moltiplicano da anni nel mondo. Gli scienziati ci hanno avvertito già da tempo: se non invertiamo rapidamente la rotta molte città costiere e ricche d’arte sono a rischio, la stessa Venezia sarà sommersa entro il 2050.

I giovani dei Fridays for future con molta più sensibilità di noi adulti lanciano l’allarme da anni. E lo fanno con sensibilità, ma anche con straordinaria competenza e lucidità come traspare chiaramente dall’incisivo articolo di Luca Sardo che pubblichiamo ad apertura e che squaderna con chiarezza i cinque obiettivi essenziali che Cop26 dovrebbe fissare pena il suo totale fallimento. Staremo a vedere, ben sapendo che la storia dei fallimenti alle spalle è già lunga.

Qui si parrà la vostra nobilitate, dicono i Fridays for future, avanzando concrete proposte ai grandi che pretendono di essere tali e che si radunano a Glasgow dal 31 ottobre al 12 novembre. Vediamo se tragicamente tutto si ridurrà a un “bla, bla, bla”, per dirla con la sintetica ed efficace espressione di Greta Thunberg, che perfino Draghi ha ripetuto insieme ad altri leader e ministri non sappiamo quanto davvero consapevoli degli impegni seri che implica.

La partita contro il climate change è gigantesca e beninteso non pensiamo che basti un summit a risolverla. Ma passi avanti auspicabili e necessarissimi possono e dovrebbero essere fatti. Certo il quadro politico globale che si profila all’orizzonte è inquietante e non può essere in alcun modo ignorato. Non solo come dicevamo, per il moltiplicarsi di eventi climatici avversi e improvvisi, non solo per il consistente innalzamento del livello dei mari, ma anche per la crescente ingiustizia sociale collegata a questi fenomeni. Ricordiamo che l’86% delle emissioni globali di CO2 è responsabilità dei Paesi più ricchi, e che sono i Paesi più poveri, quelli del sud del mondo, a soffrire maggiormente degli effetti devastanti prodotti da tutto questo. Il fenomeno dei migranti climatici, grandi masse di persone costrette ad abbandonare le proprie terre a causa di siccità, fenomeni di desertificazione ecc., è sotto gli occhi di tutti. Ma anche rispetto a questo l’Europa e i Paesi più ricchi si voltano dall’altra parte, arroccandosi, fra molti pretestuosi distinguo, facendo agghiaccianti classifiche fra rifugiati che fuggono da guerre, e chi invece fugge dalla miseria o da condizioni climatiche insostenibili.

Il problema si farà ancora più pressante nei prossimi anni, ne siamo tutti consapevoli? Intanto le grandi potenze giocano a domino sullo scacchiere internazionale. Non parliamo solo dei Paesi che presenzieranno alla Cop26 di Glasgow, ma anche e soprattutto a quelli che non ci saranno, a cominciare dalla Russia e dalla Cina, per non dire dell’Arabia Saudita che basa la propria potenza economica e politica sui combustibili fossili.

Fra tutti questi sarà Pechino a giocare un ruolo di player internazionale. La sua strategia non è facile da leggere e interpretare. Se da un lato la Cina, la cui struttura energetica è ancora dominata dal carbone, dice no a Glasgow dall’altra lancia un proprio programma di “diplomazia climatica” volendo lasciare un segno sui negoziati sulla biodiversità e sul clima. «Faremo dello sviluppo di una civiltà ecologica la nostra guida per coordinare il rapporto tra uomo e natura», ha detto di recente Xi Jinping nel suo discorso all’apertura del cerimoniale di Cop15 nello Yunnan. Il presidente cinese ha annunciato un fondo di 233 milioni di dollari (come investimento iniziale) per proteggere la biodiversità nei Paesi in via di sviluppo. Una misura solo propagandistica? Tanto più sarebbe importante dunque che i Paesi che aderiscono a Cop26 prendessero decisioni significative. Non bastano operazioni di maquillage.

Come ribadiamo con questa storia di copertina – che mette in rete molte competenze diverse di scienziati, economisti, giuristi – serve un vero e proprio cambio di paradigma nel modo di produzione, negli stili di vita, nel modo di concepire il rapporto con il pianeta, liberandoci del capitalismo predatorio in cui siamo immersi e oppressi, rimettendo al centro il benessere psico-fisico delle persone, la tutela dell’ambiente, dando valore alla socialità in un rapporto non distruttivo con l’ambiente. Basta trasformare il mondo è tempo di trasformare noi stessi.


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Direttore responsabile di Left. Ho lavorato in giornali di diverso orientamento, da Liberazione a La Nazione, scrivendo di letteratura e arte. Nella redazione di Avvenimenti dal 2002 e dal 2006 a Left occupandomi di cultura e scienza, prima come caposervizio, poi come caporedattore.