Da una parte Londra intensifica la strategia dei respingimenti nei confronti dei migranti che tentano di attraversare il canale della Manica. Dall’altra ha disperatamente bisogno di lavoratori stranieri, dopo che a causa della Brexit decine di migliaia se ne sono dovuti andare

Cinque anni fa veniva smantellata la cosiddetta giungla di Calais, l’inglorioso campo migranti alle porte del tunnel della Manica che collega il continente all’Inghilterra. Ma continuano ancora oggi a formarsi assembramenti spontanei di persone determinate a raggiungere la Gran Bretagna, vittime di sistematici episodi di violenze ed abusi ad opera della polizia francese, profumatamente finanziata dal Regno Unito affinché contenga le partenze.

Nell’estate del 2016 un controverso referendum decretava l’uscita della Gran Bretagna dall’Unione europea. In quei mesi le città del Regno Unito venivano tappezzate di fotomontaggi che ritraevano delle scale mobili installate sulle scogliere di Dover incorniciate dallo slogan “No border. No control”. Oltre a sommarie rivendicazioni sovraniste, la campagna anti europeista britannica si incentrava sull’argomento della riappropriazione del controllo delle frontiere – o detto altrimenti, sul contrasto all’immigrazione.

Lo spauracchio della fazione più nazionalista del popolo britannico prendeva forma a sole venti miglia dalle coste inglesi, oltre il canale della Manica, nei pressi della cittadina di Calais. L’assembramento alle porte del tunnel della Manica e da decenni una consolidata tappa della rotta migratoria verso il Regno Unito, nel 2015 raggiungeva dimensioni senza precedenti e acquisiva un nome alquanto evocativo: la giungla. Nell’anno della Brexit, le organizzazioni umanitarie riportavano circa diecimila residenti nel campo di Calais – e gli euroscettici ne fecero il loro cavallo di battaglia.

Vinse il “Leave”. Oggi, cinque anni dopo, il Regno Unito non fa più parte dell’Unione europea. Ma la separazione non sembra aver condotto il Paese in una nuova età dell’oro, anzi: quest’estate, la prima senza Europa, gli scaffali dei supermercati inglesi hanno iniziato a svuotarsi e da qualche settimana le pompe di benzina sono rimaste a secco: code di macchine bloccano le strade mentre aspettano il loro turno per fare il pieno di carburante nei pochi distributori che sono riusciti a rifornirsi. Il proprietario di una panetteria a Newkey, cittadina della Cornovaglia che vive di turismo, mi racconta che quest’estate gli alberghi sono stati costretti a chiudere due giorni a settimana da quando i dipendenti – prevalentemente spagnoli e polacchi – hanno lasciato il Paese.

Dopo un anno e mezzo di pandemia e lockdown, il Regno Unito tarda a riappropriarsi degli standard della vita pre-Covid perché decine di migliaia di lavoratori e lavoratrici stranieri sono rientrati nei loro Paesi di origine lasciando mutilato l’apparato logistico britannico. Nei siti di annunci rumeni e polacchi è comparso un improbabile piano di visti speciali per titolari di patente C che il governo di Londra sta promuovendo in un goffo tentativo di mettere una…


L’articolo prosegue su Left del 29 ottobre 2021

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