L’ex segretario laburista è più attivo che mai. Ha fondato Peace and justice project, una rete per la giustizia sociale, economica e ambientale. In questa intervista esclusiva di Left parla delle sue nuove battaglie e ribadisce: «I brevetti sui vaccini anti covid vanno consegnati all’Oms»

Jeremy Corbyn, dopo cinque anni di leadership laburista che ha attraversato uno dei momenti più turbolenti della storia britannica con un referendum e ben due elezioni anticipate, non si è certo ritirato dalla politica. «Sono occupato come non mai», dice. «Ho partecipato a tantissimi eventi su Zoom, come oggi, e ora che è più facile mi sposto molto in treno. Per fortuna mi piacciono i treni!».
Corbyn continua con le sue battaglie, non solo nel Parlamento di Westminster: ha fondato un ente che porta avanti le sue storiche istanze, in particolare su pace e giustizia sociale, che si chiama appunto Peace and justice project (www.thecorbynproject.com). Proprio da qui siamo partiti nel nostro colloquio.

Cosa ha fatto da quando si è dimesso da segretario del Partito laburista? Sappiamo che si è tenuto molto occupato in questo anno e mezzo…

Dopo il triste risultato delle elezioni nel dicembre 2019 – e colgo l’occasione per ringraziare i tanti che durante quella campagna elettorale sono venuti anche dall’estero per aiutarci – la mia leadership del Partito laburista è continuata fino ad aprile 2020. E questo è stato molto interessante, perché si è sovrapposta al primo periodo del Covid. Penso che abbiamo agito molto efficacemente in quel periodo fino ad aprile, in particolare in materia di cassa integrazione, sostegno ai lavoratori, test and tracing. Soprattutto, ero interessato a non disperdere gli ideali contenuti nei programmi elettorali delle elezioni del 2017 e del 2019. Essenzialmente, la necessità per la sinistra in tutto il mondo di rendersi conto che il modello economico attuale non funziona, non motiva o mobilita le persone, e quello che succede in realtà, come Bernie Sanders ha articolato così bene, è che abbiamo una ridistribuzione del potere e della ricchezza che va tutta nella direzione sbagliata. I nostri programmi redistributivi di quegli anni erano la base di ciò che stavamo facendo e che continuo a fare. E poi, ho parlato per molto tempo con altre persone di creare un istituto o un progetto, e alla fine abbiamo deciso di realizzare il Peace and justice project, nel cui ufficio mi trovo adesso. L’abbiamo creato per promuovere le politiche di questi due programmi, per fornire una casa politica alle persone che erano nel Partito laburista – o meno – e per diventare un’organizzazione basata e focalizzata sulla comunità; in altre parole, riprendendo il grande lavoro organizzativo fatto durante la mia leadership del partito. Quando ho lasciato l’incarico, il Labour aveva 600mila iscritti, il più grande partito politico in Europa, credo.

Di cosa si occupa questa istituzione che avete fondato?

Il Pjp ha circa 50mila iscritti. Riceviamo piccole donazioni ricorrenti da molte persone che ci assicurano la possibilità di pagare i costi di gestione di base. Abbiamo stabilito quattro aree politiche su cui lavorare, e sono tutte assolutamente cruciali, essenziali. La prima area è la riforma dei media. È necessario sviluppare un dibattito sul potere dei mezzi di informazione di decidere e dirigere le nostre vite, e anche sul potere che hanno sulle elezioni e le campagne politiche sia nel Regno Unito che negli Usa. Per fare questo stiamo istituendo dei news club in tutto il Paese, dove la gente si riunisce per consultare le notizie locali e discuterne criticamente. Ce ne sono circa 20 al momento, ma stanno crescendo molto velocemente. La seconda e terza area sono l’economia e l’ambiente: temi del tutto collegati. Il principio del nostro progetto è che non stiamo cercando di prendere il controllo di altre organizzazioni, stiamo cercando di lavorare con le persone. Ci impegniamo assieme alle campagne per il riconoscimento sindacale dei lavoratori della gig economy: i rider di Uber, di Deliveroo… gruppi emarginati che lavorano con contratti a zero ore, a volte senza nessun contratto. Sosteniamo il loro diritto di iscriversi a un sindacato e le loro azioni di protesta. Poi, sosteniamo cooperative alimentari e di abbigliamento, organizzazioni che stanno dando voce a persone bisognose. E questo è ovviamente qualcosa che richiede un enorme sforzo. C’è sempre più lavoro: nel Regno Unito ci sono ora più banchi alimentari che filiali di McDonald’s – un dato stupefacente. E poi, naturalmente, c’è la rivoluzione industriale verde, la Cop26 (Conferenza delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici, ndr), la questione del cambiamento climatico, e come si affronta una nuova rivoluzione industriale. Se pensate alle precedenti rivoluzioni industriali, queste hanno tutte arricchito e reso più potente chi era già ricco e potente. Nella crisi climatica, sono le persone più povere che mangiano il cibo peggiore, respirano l’aria peggiore, hanno l’aspettativa di vita più breve, in tutto il mondo. La crisi climatica è qui ed è reale. L’intera strategia che abbiamo presentato in due campagne elettorali, ma in particolare nel 2019, era una rivoluzione industriale verde che investiva in progetti energetici per la comunità, e sfidava anche la distruzione della natura e della biodiversità. Saremo a Glasgow per la Cop26, e speriamo di dare voce a quelle comunità nel Regno Unito, in Europa e nel mondo che altrimenti non sarebbero ascoltate. E l’ultima area è la solidarietà internazionale. Ho fatto parte del movimento per la pace per tutta la vita ed è ancora un mio grande impegno. Il Regno Unito, come altri Paesi in Europa, ha aumentato la spesa per le armi – 24 miliardi di sterline in più nei prossimi 4 anni – e aumentato il numero di testate nucleari fino a 280. Vogliamo promuovere un dibattito su questo tema: cos’è la sicurezza? La sicurezza è la forza delle nostre forze armate, la capacità di uccidere e distruggere le persone, avere i più grandi droni, le più grandi bombe, le più grandi armi, il più grande sistema di sorveglianza? O è il nostro cibo, la nostra acqua, la nostra salute, la nostra istruzione, la nostra casa, la nostra terra? Penso che tutti noi conosciamo la risposta. Le questioni importanti diventano quindi come ci si approccia al commercio internazionale, come si ridistribuisce il potere e la ricchezza durante l’era della transizione verso una vita sostenibile, e se si continua con il modello del libero mercato oppure si sviluppa qualcosa di molto diverso, un modello più socialista che garantisce gli standard di vita di base a tutti.

Sul tema dei rifugiati in particolare lei si è impegnato sempre molto, anche da leader laburista.

Certo. C’è una vera crisi in atto. Nel mondo ci sono più di 70 milioni di rifugiati – un numero superiore alla popolazione del Regno Unito. Sono tutti esseri umani e il loro trattamento è disgustoso e vergognoso. I libri di storia del XXI secolo non saranno gentili con la freddezza dei politici europei e americani che hanno voltato lo sguardo di fronte ai rifugiati. So che molti giornali e media in Europa non sarebbero d’accordo con me, ma il numero di rifugiati nel continente nel suo complesso è in realtà molto piccolo rispetto al numero globale. Il Bangladesh, un Paese popoloso ma povero, con infrastrutture molto limitate, ospita un milione di rifugiati Rohingya. Un milione di rifugiati in un Paese!

In che modo, secondo lei, il Covid ha influenzato la politica britannica e anche internazionale?

Penso che quello che la pandemia ha fatto è stato cambiare gli atteggiamenti del pubblico verso il ruolo del governo nella società. Ha anche cambiato molti atteggiamenti delle persone all’interno delle nostre comunità: qui, come immagino da voi, molte persone hanno prestato attività di volontariato che hanno in qualche modo cambiato la loro visione del mondo.  L’altra questione è quella dei profitti fatti sulle vaccinazioni. Ora, le vaccinazioni, naturalmente, sono necessarie. Ma i brevetti dei vaccini dovrebbero essere di proprietà comune. Mentre la ricerca sui vaccini è stata tutta finanziata dal pubblico, i profitti rimangono in mani private, di Big pharma. Sono uno di quelli che sta chiedendo che i diritti di proprietà intellettuale sui vaccini siano consegnati all’Organizzazione mondiale della sanità, a costo zero, e che quindi tutti i vaccini contro il Covid possano diventare vaccini generici in tutto il mondo. In questo momento stiamo assistendo a una enorme discriminazione vaccinale: i Paesi più poveri non ottengono nulla, anche le persone più povere nei Paesi a reddito medio ottengono poco. Tutto ciò è semplicemente sbagliato.

Quale è stato il suo rapporto con la storia italiana dei movimenti operai e la sinistra in generale in Italia?

I contatti tra la sinistra britannica e quella europea continentale sono stati principalmente, nel periodo della Guerra fredda, quelli tra i partiti comunisti e le forze di orientamento comunista in Regno Unito. Queste non hanno mai avuto grande successo elettorale, se non in qualche caso, perché il Partito laburista ha avuto la tendenza a dominare quello spazio. Sono però sempre state molto potenti nel sindacato e nei circoli intellettuali di sinistra. Per quanto riguarda gli intellettuali, hanno avuto un legame con la sinistra italiana sia a livello di Partito comunista che a livello di Partito socialista; altri contatti ci sono stati all’interno delle federazioni sindacali internazionali. Sull’Italia, mi colpirono molto le storie, forse apocrife, che si raccontavano sulle importantissime elezioni del 1948. Era prima che io nascessi, ma mi ricordo quel manifesto geniale ma assurdo di un operaio che andava a votare sotto gli occhi di Stalin e della Vergine Maria, e lo slogan “Dio ti vede, Stalin no!”. Abbiamo avuto molti contatti con meravigliosi compagni in Italia! Ho ricordi di partecipazioni a feste popolari, a fine estate o inizio autunno. Ciò che amo dello stile e della cultura italiana è che si fa tutto all’aperto, accompagnato da cibo e buon vino – io non bevo, ma mi piace vedere gli altri divertirsi. Penso che sia così che la politica vada fatta. Per questo motivo ho sempre investito molto tempo nel promuovere attività culturali all’interno della sinistra: alle nostre feste si fa musica, si fa arte, si fa poesia… Del resto, storicamente alcuni dei grandi poeti sono stati anche grandi inventori: la mente che può scrivere poesia può anche scrivere equazioni…

Lei parla spesso di giovani generazioni e questa forse è stata ed è una delle cose più affascinanti della sua campagna e del suo movimento, specie durante le elezioni nel 2017 e 2019, in cui gli under 35 hanno votato per il Labour come mai prima. In Italia, invece, la situazione è opposta: la sinistra ha un elettorato abbastanza anziano e ha grandi difficoltà a parlare alle giovani generazioni che hanno votato per il Movimento 5 stelle nel 2018 e ora sono, in parte, affascinati dall’estrema destra. Come siete riusciti a mobilitare queste giovani generazioni?

I giovani stanno ereditando un mondo molto ingiusto. Nel Regno Unito, un giovane di 20 anni avrà debiti per circa 40/50mila sterline se si iscrive all’università (circa il 40-50% di loro). Probabilmente vivrà in affitto in alloggi privati, che almeno a Londra sono molto costosi – 300 sterline a settimana per un piccolo appartamento. Vorrà dire che probabilmente più della metà del loro reddito verrà speso in affitto. I giovani lavoreranno, spesso con un lavoro precario, e non sarà loro garantita un’indennità di malattia sufficiente, o una pensione, alla fine, e saranno sotto pressione per aiutare a finanziare l’assistenza sociale dei loro genitori quando invecchieranno, e anche i loro nonni, se si parla di persone di 20 o 30 anni. E allora, nonostante abbia subìto molte pressioni nel Labour per non prendere questa posizione, ho detto: no, non faremo pasticci con le tasse universitarie. Le aboliremo, e torneremo al principio dell’istruzione gratuita universale come un diritto umano, come l’assistenza sanitaria dalla culla alla tomba: un National education service. Un’istruzione gratuita nella scuola primaria, secondaria, in una certa misura a livello di college, e in misura considerevole a livello di scuola dell’infanzia, per tutti i bambini con più di due anni. E volevamo rendere gratuita anche la formazione continua, perché anche questa è importante. Lo so, tutto questo sarebbe stato costoso. Ma mi sembrava assolutamente la cosa giusta da fare e in cui investire. L’effetto sui giovani è stato elettrizzante, anche per coloro i quali non sono andati all’università, perché avevano la dimostrazione che fossimo davvero seri riguardo alle opportunità dei giovani. Proponevamo anche schemi di apprendistato garantito per chi non ha fatto l’università – o anche per chi l’ha fatta, non c’era motivo perché questi venissero esclusi. Si trattava quindi di un programma per i giovani. Ecco l’idea: perché la sinistra tutta, in Europa e in America, non si mette d’accordo su un “manifesto minimo” per i giovani? Un manifesto su cui fare campagna per l’istruzione gratuita, l’accesso all’assistenza sanitaria, il diritto di viaggiare, il diritto allo studio. Ad esempio, ero entusiasta di espandere le opportunità di studio in altri Paesi. In Europa abbiamo il programma Erasmus, che a mio avviso deve essere molto più ampio. Volevo introdurre l’idea di studenti che fanno abitualmente uno dei loro tre anni di università in un altro Paese: questo aiuterà a portare una maggiore comprensione tra persone di vari Stati. E poi c’è molto altro: giovani e diritto alla casa, giovani e associazionismo, giovani e atteggiamenti della polizia nei loro confronti… Un manifesto che dia potere ai giovani, e io sono abbastanza vecchio per poter dire che tutto questo serve.

Alla Conference del Partito laburista a fine settembre, e in altre circostanze, lei è stato ancora accolto con il famoso coro “Ooh Jeremy Corbyn”. Penso soprattutto all’accoglienza ricevuta al festival di Glastonbury. Si sarebbe mai aspettato questo momento “pop”?

Quello che successe a Glastonbury fu abbastanza incredibile. Conosco Michael Eavis, il fondatore di Glastonbury, che mi ha invitato a parlare. Le persone del mio ufficio erano incredibilmente entusiaste all’idea, penso soprattutto per la possibilità di avere dei biglietti per l’evento… Improvvisamente tutti vollero lavorare il sabato e la domenica per venire con me a Glastonbury… Varie persone hanno pensato a cosa avrei dovuto dire e ai discorsi che avrei dovuto fare e così via… Ma poi, circa 20 minuti prima di salire sul palco, decisi che non mi piaceva affatto il discorso preparato. Così l’ho scartato e ne ho scritto un altro su un taccuino, seduto su uno sgabello dietro il palco, ho fatto del mio meglio, e ho concluso con le meravigliose parole di Shelley: «Rise like lions after slumber/ In unvanquishable number/ Shake your chains to earth like dew/ Which in sleep had fallen on you/ You are many, they are few!» (Alzati come leoni dopo il sonno, in numero invincibile! Scuoti le tue catene sulla terra come rugiada, che nel sonno ti è caduta addosso: siete molti, sono pochi!). Shelley che, naturalmente, era mezzo italiano nella sua visione della vita, e infatti è morto in Italia… Parole tratte dal meraviglioso poema The mask of anarchy, che parla dell’uccisione, a Manchester nel 1819, di manifestanti che si stavano battendo per i loro diritti politici. È stata un’esperienza incredibile, durante e dopo il discorso. Il mio tempo sul palco era abbastanza limitato… Michael mi ha detto, mentre salivo sul palco: dì quello che vuoi, fai quello che vuoi, ma non stare più di nove minuti. Gli chiesi “Che succede se vado oltre?” “Ti prendo per il collo e ti porto via”. Sarebbe stata ottima televisione! E poi ho avuto discussioni molto interessanti, con la gente lì. Penso che la sinistra sia troppo spesso rivolta verso se stessa, e non si renda conto che un sacco di persone sono motivate da musica, arte, teatro. Anche i social media, ad esempio, possono essere un posto orribile, ma possono essere anche un luogo dove dare luce a un sacco di grandi idee e informazioni importanti. Ci dobbiamo lavorare.

Un’ultima domanda sul futuro, il futuro della sinistra, specialmente nel Partito laburista?

Ora abbiamo 36 membri della sinistra nel gruppo parlamentare laburista e alcuni giovani meravigliosi neo eletti, Zarah Sultana, Bell Ribeiro-Addy, Marsha de Cordova, Claudia Webbe, e altre persone meravigliose; più della metà sono donne appartenenti a una minoranza etnica. Questo è stato un risultato della mia politica sul processo di selezione dei candidati. Le cose sono cambiate molto da quando, nel 2015, godevo del sostegno di neanche 20 membri del Plp (Parliamentary labour party)… ma ovviamente non abbiamo vinto le elezioni. Qual è il futuro della sinistra… Penso che la sinistra nel partito stia affrontando un sacco di attacchi: molti membri sono stati sospesi, li stiamo sostenendo e combattendo per loro, come molti stanno facendo. La partecipazione a tutti gli eventi che abbiamo organizzato quest’anno alla Conference di Brighton era assolutamente enorme. Quello organizzato dal Socialist campaign group era completamente esaurito un’ora prima dell’inizio, e c’erano molte persone all’esterno, sotto la pioggia, ad ascoltare. È fondamentale che la sinistra abbia la fiducia necessaria per portare avanti le proprie posizioni a favore del socialismo e della giustizia sociale. Non si può risolvere la crisi climatica entrando nei “bunker” di nazionalismo, xenofobia, razzismo. Dobbiamo sconfiggere l’estrema destra. Nelle scorse settimane sono arrivate buone notizie dalle elezioni tedesche. La priorità, tuttavia, è controbattere alla retorica dell’estrema destra, qualcosa che tanti compagni fanno ogni giorno, anche in Italia. L’estrema destra non offre altro che odio e divisione. Il 3 ottobre sono stato a Cable Street, nell’East End di Londra, a commemorare quando 85 anni fa la comunità ebraica e la comunità irlandese scesero in strada per fermare la marcia di Oswald Mosley (il fondatore dell’Unione britannica dei fascisti ndr) e dei fascisti britannici.

Si può collaborare con il Peace and justice project anche dall’Italia?

Sì, certo che è possibile. Penso che sia importante costruire un senso di solidarietà internazionale. Abbiamo costruito contatti in Grecia: andremo a Lesbo nel prossimo futuro, andrò in Spagna e sarò in Messico più avanti nell’anno – mia moglie è messicana. Naturalmente il nostro lavoro a Glasgow durante la Cop26 sarà promuovere la cooperazione internazionale. Perché entro i confini di un solo Paese non risolveremo tutti questi problemi, solo l’azione collettiva conta. E se la nostra azione collettiva è ostacolata dai nazionalismi, e ci dimostriamo incapaci di esprimere solidarietà, saremo tutti più deboli.

(In collaborazione con Federico D’Ambrosio e Roberto Volpe)


L’articolo prosegue su Left del 29 ottobre 2021

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