Al Palazzo delle Esposizioni di Roma tre mostre invitano a leggere il timore per le pandemie nell’alveo delle tematiche scottanti del nostro tempo: crisi climatica, big data e frontiere della genetica. Cercando nelle robuste radici della storia dell’umanità la forza per riemergere

Ne usciremo migliori” era il mantra piuttosto naïve che ci ha accompagnato nel pieno della pandemia. Non era vero, ma forse dal mondo della cultura qualcosa di migliore sta venendo fuori. Un’urgenza, una spinta propositiva, spunti nuovi di riflessione su temi antichi come il rapporto tra arte e scienza. La mostra inaugurata il 12 ottobre al Palazzo delle Esposizioni di Roma, Tre stazioni per Arte-Scienza, è proprio questo. Intanto nelle proporzioni: in realtà si tratta di un tris di mostre che riempie quasi ogni spazio della sede espositiva. Una di taglio artistico (Ti con zero); una di impianto scientifico (Incertezza. Interpretare il presente, prevedere il futuro); la terza storico-scientifica (La scienza di Roma. Passato, presente e futuro di una città). Esposizioni legate l’una all’altra da un fil rouge che è «l’incontro tra i diversi saperi che il concetto di ricerca intende evidenziare» come dice Cesare Pietroiusti, presidente dell’Azienda speciale Palaexpo che ha realizzato gli allestimenti.

Gli artisti esposti in Ti con zero riflettono sulla pandemia. Dora Budor riutilizza le rane adoperate da Anderson nel film Magnolia per alludere alla minaccia incombente, all’evento straordinario che stravolge la normalità, come la pioggia di rane nel film e come un nuovo virus che blocca l’intero pianeta. E riflette sulla pandemia, fin dal titolo, la mostra Incertezza, che prova a fare i conti con chi nell’era delle post-verità ha usato proprio l’incertezza con cui la scienza ha imparato a convivere per screditarne i risultati. Ma quello che si avverte in tutte e tre le mostre è il tentativo di metabolizzare la grande paura globale, di ricondurla nell’alveo delle tematiche scottanti del nostro tempo (crisi climatica, big data, frontiere della genetica), di provare a darne una prima visione prospettica e di cercare nelle robuste radici della propria storia la forza per riemergere.

I trenta artisti, italiani e non, già affermati (Pierre Huyghe, Tacita Dean, Giuseppe Penone) o emergenti (Revital Cohen, Tega Brain, Jenna Sutela), si misurano con i linguaggi delle scienze o propongono al visitatore un percorso esperienziale dove sono affrontati temi prettamente scientifici, come lo sfruttamento delle risorse terrestri o lo scioglimento delle calotte polari. Come nella cartografia immaginaria dell’islandese Rúrí, dove i dati satellitari servono a disegnare mappe terrestri che distinguono i territori che andranno perduti nel prossimo futuro, in una sorta di…


L’articolo prosegue su Left del 29 ottobre 2021

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