La tragica morte per setticemia di una giovane a cui è stato negato l’aborto di un feto malformato riporta in primo piano il movimento di All-Poland women’s strike. Un anno fa sembrava il segnale di un grande cambiamento culturale. Cosa non ha funzionato?

Tra l’ennesimo dibattito sulla Polexit, l’inflazione galoppante (attualmente intorno al 6,8%) e i racconti terrificanti provenienti dal confine polacco-bielorusso dove si “gioca” un braccio di ferro con l’Europa sulla pelle di migliaia di migranti respinti con violenza, le donne polacche sono scese nelle piazze di Varsavia il 6 novembre per aderire a decine di migliaia alle proteste contro la rigidissima e antiscientifica legge sull’aborto che di fatto ha portato alla morte per setticemia una giovane originaria di Pszczyna, nel sud del Paese. Izabela Budzowska, così si chiamava, è deceduta a 30 anni in ospedale in seguito a complicazioni della gravidanza. Nonostante la donna avesse chiesto di abortire, secondo la legale dei suoi familiari, «i medici hanno atteso che cessassero i segni vitali del feto, poi hanno atteso ancora, e alla file Izabela è morta tra dolori atroci». Il feto era gravemente malformato e destinato a non nascere, ma probabilmente per via di una rigidissima interpretazione della legge contro l’interruzione della gravidanza approvata un anno fa non le è stato permesso di interrompere la gestazione. Izabela è morta il 22 settembre ma la notizia è divenuta di dominio pubblico solo a inizio novembre.

Alcuni giorni prima, il 19 ottobre, il movimento All-Poland women’s strike aveva indetto una manifestazione a cui hanno partecipato solo mille persone o poco più. Era il primo anniversario dello sciopero delle donne. Il 22 ottobre 2020 infatti segna l’inizio della lotta contro il Tribunale costituzionale che in quel giorno aveva sancito l’incostituzionalità della disposizione della legge del 1993 che consentiva l’aborto nel caso in cui il feto presentasse una «disabilità o una malattia incurabile». Se fosse ancora in vigore forse Izabela si sarebbe salvata. Invece quella legge, con undici voti favorevoli e due contrari, è stata ritenuta dal Tribunale costituzionale una violazione della tutela costituzionale della dignità umana. In pratica questa decisione – che si fonda su motivi puramente religiosi – ha fatto sì che la maggior parte dei circa mille-duemila aborti legali praticati mediamente ogni anno in Polonia diventassero illegali. La sentenza non riguarda altri due casi, cioè l’interruzione di gravidanza richiesta da donne vittime di stupro o incesto, né quelli in cui la vita o la salute della donna è a rischio. Nel 2019, secondo il ministero della Salute polacco, 1.074 dei 1.100 aborti ufficiali erano dovuti a malformazioni fetali. Tra questi, casi dovute a sindromi strazianti come quella di Patau o di Edwards, malattie genetiche che comportano gravi conseguenze nello sviluppo del feto.
Ovviamente, la decisione del Tribunale costituzionale del 2020 non era arrivata all’interno di un vuoto politico e sociale. Tutto era iniziato circa un anno prima. Il 19 novembre 2019, un mese dopo le elezioni, 119 membri del nuovo Sejm, la camera bassa del Parlamento, provenienti dai gruppi parlamentari e dai partiti di Diritto e giustizia (PiS), della Confederazione e Coalizione polacca, hanno presentato un…

(traduzione dall’inglese di Alessia Gasparini)

*-* L’autore: Wojciech Alberto Łobodziński è un giornalista di Strajk.eu che, come Left, fa parte di Media alliance, un progetto di transform!Europe in partnership con transform!Italia 


L’articolo prosegue su Left del 12-18 novembre 2021

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