La brutalità del sistema carcerario britannico tra ’800 e ’900, la detenzione intesa come punizione, l’assoluta noncuranza verso la salute mentale dei detenuti. Ne hanno scritto, per esperienza diretta, Oscar Wilde, Bobby Sands e Laurence McKeown. Con parole ancora attuali

«L’aria era calda e soffocante, e pensai che l’amministrazione carceraria, dopo averci lasciati letteralmente morire di freddo nel corso di uno dei più gelidi inverni degli ultimi anni, con la neve che cadeva attraverso le finestre aperte sui nostri corpi nudi, avesse avuto un gran tempismo nel decidere improvvisamente di bloccare le finestre, trasformando in forni le nostre celle simili a tombe, proprio mentre arrivavano le lunghe e torride giornate estive».
Lo scriveva poco più di quarant’anni fa Bobby Sands, morto in carcere dopo 66 giorni di sciopero della fame. Stava descrivendo il momento in cui i secondini – nei Blocchi H di quella brutale prigione britannica in Irlanda del Nord chiamata The Maze, “il labirinto” – si accorsero che i detenuti riuscivano a comunicare dalle finestre, usando strisce di tessuto strappate dalle coperte con legato all’estremità un peso morto. Risultato: le sbarrarono. Il resto del resoconto di quella giornata è tra i più crudi, monito ancora oggi per le condizioni di vita in tante carceri nel mondo: «La logica di seppellire completamente degli uomini nudi, che erano già stati privati dell’esercizio fisico, dell’aria fresca e della luce naturale, della vista delle nuvole, delle stelle, della luna e di tutto il resto. Aggiungeteci poi una luce bianca accecante tenuta costantemente accesa all’interno delle celle. Sopravvivere con diete restrittive e dormire su un vecchio, umido e sporco materassino sul pavimento… Una cella… trasformata in tomba. È una questione tutta psicologica, che mira a creare frustrazione, depressione, disperazione e così via».

Non sempre si pensa alle condizioni mentali dei carcerati, eppure sono chiaramente gran parte del loro disagio. Lo sapeva bene un altro prigioniero irlandese illustre, Oscar Wilde, che ne parlò apertamente sulla stampa. Era stato condannato a due anni di lavori forzati dopo vicende giudiziarie agghiaccianti, che vale la pena di riassumere brevemente. Tutto nacque da un processo per diffamazione da lui intentato contro il marchese di Queensberry, padre del suo amante Lord Alfred Douglas, detto Bosie. A difendere il marchese fu un ex compagno di studi di Wilde, Edward Carson, che meno di venti anni dopo, nel 1913, sarebbe stato il fondatore, in Irlanda del Nord, delle feroci milizie protestanti lealiste chiamate Uvf (Ulster volunteer force). Milizie che giurarono col sangue di difendere l’Irlanda da qualunque tentativo di ottenere forme di autonomia dall’Inghilterra, e che furono attivissime, in collusione con gli apparati dell’esercito britannico, anche negli anni di Bobby Sands. È importante ricordare che Wilde era figlio di “Lady Speranza”, ardente repubblicana nazionalista, benché di origini protestanti, e molto attiva nel…

*-* L’autore: Enrico Terrinoni è professore ordinario di Letteratura inglese all’Università di Perugia e traduttore. Insieme a Riccardo Michelucci ha curato la raccolta “Scritti dal carcere. Poesie e prose di Bobby Sands” (Paginauno, 2020)


L’articolo prosegue su Left del 12-18 novembre 2021

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