Senza documenti perché esclusi dalla sanatoria oppure ancora in attesa di una risposta. Senza green pass perché vaccinati con Sputnik o Sinovac, e con enormi difficoltà di accesso al welfare. Se c’è un apartheid sanitario, è quello che colpisce i lavoratori immigrati in agricoltura

«Noi continuiamo a lavorare, senza di noi le campagne non possono andare avanti, ma pretendiamo un poco di rispetto. Vogliamo poter avere la residenza per dormire sotto ad un tetto. Non vogliamo soldi. Vogliamo documenti e contratti per lavorare in regola». A parlare dalle frequenze di Radio Onda rossa è un bracciante di origini africane impegnato nelle campagne pugliesi, che lo scorso 6 novembre era a manifestare a Roma in piazza Esquilino assieme a molti suoi compagni di lavoro per chiedere «permesso di soggiorno e sanatoria per tutti».

Nel bel mezzo della raccolta delle olive e alla vigilia di quella delle arance, sono molteplici, infatti, gli ostacoli per le persone straniere che lavorano in agricoltura. Innanzitutto, devono fare i conti con le conseguenze della sanatoria fallimentare disposta nel 2020 dal governo Conte II (v. inchiesta di Stefano Galieni) per favorire l’emersione dal “nero” di badanti, colf e braccianti agricoli. Delle 207.870 domande di regolarizzazione presentate, il 32,7% ha avuto esito positivo, ossia 68.147 (che in gran parte riguardano il lavoro domestico e di cura), a fronte di 10.757 richieste rifiutate e 1.973 terminate per rinuncia. E le altre 136.500? Sono ancora in attesa.

È questo il quadro desolante di una misura mai…


L’articolo prosegue su Left del 12-18 novembre 2021

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