Se avete voglia di esercitare un po’ di nauseata indignazione e una preoccupata curiosità per rendersi conto di quanto sia pericoloso lo Stato quando smette di essere Stato e di quale sia la condizione senza diritti, addirittura quasi dittatoriale, all’intento di alcuni settori del Paese allora c’è una maxi processo pronto per voi, uno di quelli che dovrebbe occupare tutte le prime pagine dei giornali e invece vedrete che verrà al massimo bisbigliato quando si arriverà alla sentenza.
Il fatto che le presunte vittime siano quelli che normalmente consideriamo “scarti” della società (ovvero i detenuti) e che i presunti colpevoli siano una delle categorie più solidarizzate da certa destra renderà tutto parossistico. È un processo allo Stato ma lo Stato, vedrete, farà finta che sai semplicemente un accidente laterale.
Ieri la Procura di Santa Maria Capua Vetere ha chiesto il rinvio a giudizio per 108 tra agenti e funzionari dell’amministrazione penitenziaria per la vicenda delle violenze ai danni dei detenuti nel carcere di Santa Maria Capua Vetere avvenute il 6 aprile 2020. 108 persone non sono mele marce: 108 persone rinviate a giudizio sono perlomeno il terribile sospetto che la violenza sia sistemica e sistematica ed è qualcosa che fa rabbrividire.
I reati contestati a vario titolo sono quelli di tortura, lesioni, abuso di autorità, falso in atto pubblico e cooperazione nell’omicidio colposo di un detenuto algerino, del cui decesso sono accusati 12 indagati. Per altri 12, invece, i pm hanno chiesto l’archiviazione ma è probabile che a questi venga comunque notificato un decreto penale di condanna a pena pecuniaria per non aver, in qualità di pubblici ufficiali, denunciato quello che stava accadendo in carcere. L’udienza preliminare è stata fissata dal gip Pasquale D’Angelo per mercoledì 15 dicembre alle 9:30 nell’aula bunker dello stesso carcere.
Tra quelli che rischiano il processo ci sono elementi che contano della linea di comando: c’è Pasquale Colucci, comandante del Nucleo operativo traduzioni e piantonamenti del centro penitenziario di Secondigliano e comandante del gruppo di “Supporto agli interventi”, l’ex capo delle carceri campane Antonio Fullone, interdetto dal servizio, Tiziana Perillo, comandante del Nucleo operativo traduzioni e piantonamenti di Avellino, Nunzia Di Donato, comandante del Nucleo operativo traduzioni e piantonamenti di Santa Maria Capua Vetere; Anna Rita Costanzo, commissario capo responsabile del reparto Nilo, l’ex comandante della polizia penitenziaria del carcere di Santa Maria Capua Vetere Gaetano Manganelli.
Le telecamere hanno ripreso i detenuti mentre erano costretti a passare in un corridoio formato da agenti penitenziari con manganelli e caschi, prendendo calci, pugni e manganellate. Tra di loro anche un detenuto su sedia a rotelle. Alcuni detenuti furono trascinati già per le scale. Per la Procura e il gip quei comportamenti hanno integrato il reato di tortura (introdotto nel 2017), mai contestato a così tanti pubblici funzionari. Proprio per questo è un processo storico.
C’è un altro piccolo particolare di cui tenere conto: secondo la Procura dopo il 6 aprile del 2020 iniziò l’attività di depistaggio da parte di agenti e funzionari con certificati medici falsificati per dimostrare che gli agenti avevano subito violenze dai detenuti. Gli indagati inoltre provarono (invano) anche a manomettere le telecamere.
Ce n’è abbastanza per rischiare di essere una vicenda che fa rabbrividire. Conviene interessarsene ora, subito e molto.
Buon lunedì.
Nella foto: Frame dal video pubblicato dal quotidiano Il Domani
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