A Roma, percorrendo l’Aurelia Antica tra porta San Pancrazio e l’ingresso di Villa Pamphilj, s’incontra un tratto di muro a forma di scogliera. Fino al 1849 s’innalzava lì sopra Villa Benedetta, fatta realizzare dal 1663 dall’abate Elpidio Benedetti, l’agente a Roma del potente cardinale di Francia Giulio Mazzarino, su progetto e sotto la direzione della «Signora Plautilla Bricci architettrice». La villa doveva infatti apparire «edificata a similitudine di un vascello sopra uno scoglio». Alta e stretta, e protesa con un corpo arrotondato verso l’esterno come la prua di una nave dal lato della strada, si allungava poi verso nord aprendosi a valle con logge e terrazze per godere del tramonto. Una perlustrazione aerea con Google permette di riconoscere ancora chiaramente la sagoma dell’edificio, le gradonate a curve contrapposte del giardino a ovest e la fontana a est.
Alla pittrice e architettrice Plautilla Bricci (1616 – post 1690/1705?) è dedicata per la prima volta una mostra che rimarrà aperta fino al 19 aprile alla Galleria Corsini di Roma, a cura di Yuri Primarosa.
La mostra si apre, ahimè, con quella che potremmo forse intendere come una provocazione: il primo pannello illustrativo è intitolato “Barocco in rosa”… ma a consolarci subito a fianco c’è un bel ritratto anonimo di una donna che ci guarda simpaticamente con gli strumenti dell’architetto in mano e che viene qui proposto come ritratto di Plautilla.
Il padre Giovanni, pittore, musicista, commediante e poligrafo, mise in scena per lei un bel esordio per farla entrare nel mondo dell’arte delle immagini devozionali: la Madonna con bambino che la ragazza stava dipingendo, con uno stile volutamente arcaizzante, e che si può ammirare nell’ultima sala della mostra, fu «miracolosamente perfettionata» da mano non umana, come attesta la relazione incollata sul retro del quadro stesso. Quando le artiste sono presenti devono essere raccontate come leggendarie, eccezionali, oggetto di prodigi, e quanto meno campionesse di modestia, di condotta virtuosa e votate a una vita virginale.
Il lungo sodalizio a partire dagli anni Sessanta con l’abate Benedetti, architetto dilettante egli stesso, che ne fece la sua artista di fiducia pur senza mai citarla nella sua corrispondenza, le consentì di svolgere la professione di pittrice e poi di architettrice senza doversi sposare o farsi monaca, ottenendo importanti commissioni.
Insieme elaborarono due progetti per il monumento funebre di Mazzarino a Parigi (1657), come pure un ambizioso progetto per la scalinata di Trinità dei Monti (1660), allora oggetto di grandi dibattiti tra i francesi e il papa. In una combinazione monumentale di…
Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE