La sentenza in causa K3/21 del Tribunale costituzionale polacco dello scorso 7 ottobre (ed il clamore mediatico che l’ha circondata) fornisce un’ottima occasione per fare il punto della situazione sul rapporto tra l’ordinamento dell’Ue e quello italiano, ma anche per meglio comprendere se ancóra esistano strade che portano ad un’autentica integrazione europea (sulla sentenza del Tribunale costituzionale polacco si veda l’articolo di Wojciech Alberto Łobodziński, Left del 12 novembre ndr).
Che il problema del primato del diritto sovranazionale su quello interno abbia da sempre egemonizzato quello che la dottrina giuridica ha definito il “dialogo” tra la Corte di giustizia Ue e le Corti costituzionali degli Stati membri è noto.
Alla pretesa dell’Unione europea di prevalere sempre e comunque sulle norme degli ordinamenti nazionali, persino su quelle costituzionali, si sono opposte (con più o meno vigore) le Corti costituzionali di diversi Stati membri, tra cui quella italiana che, nel corso degli anni, ha sancito alcuni importanti punti fermi.
Proprio con riferimento a quanto accaduto in Italia, va detto che è ovvio che la Corte costituzionale non avrebbe mai potuto accogliere supinamente la posizione dei giudici lussemburghesi, perché ciò avrebbe implicato un inaccettabile riconoscimento della superiorità gerarchica dell’ordinamento comunitario su quello statale. La ricostruzione del rapporto tra i due ordinamenti effettuata dalla Corte costituzionale, quindi, ha fatto – e continua tutt’oggi a fare – perno sull’assunto della separazione tra ordinamento eurounitario e ordinamento interno.
Insomma, in tutte le materie riservate alla competenza dell’Ue dai Trattati prevale il diritto Ue, in tutte le altre si applica il diritto nazionale.
Ma anche nelle materie di competenza europea, la Consulta ha stabilito che se le norme Ue violano principi e diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione italiana il diritto sovranazionale non può mai prevalere. Si tratta, com’è noto, di quella che i giuristi conoscono come la c.d. teoria dei controlimiti.
È un problema di rapporti di forza che investe il ruolo della Corte Ue e quello della Consulta e che maschera la vera questione ad essa sottostante: chi prevale su chi? Ci troviamo in un unico ordinamento giuridico che ha il suo vertice nei Trattati Ue cui, quindi, lo Stato si deve adattare sempre e comunque, oppure Ue e Stati membri sono ancora entità separate? Gli Stati sono ancora sovrani o il vero unico sovrano è diventata l’Ue?
La teoria dei controlimiti fa riferimento proprio a questo: lo Stato ha acconsentito soltanto a limitare la propria sovranità, ma non l’ha ceduta in toto all’Ue e quindi rimangono sempre i paletti fissati dalla Corte costituzionale.
È vero che le competenze europee sono aumentate ad un punto tale che la Corte costituzionale rischia di rimanere ai margini del processo di integrazione, così come è vero che la teoria dei controlimiti rischia di essere completamente svuotata di significato in virtù del riconoscimento della tutela dei diritti fondamentali anche a livello di Ue.
Ma la Consulta non ha mai potuto accettare di essere relegata in una posizione secondaria rispetto alla Corte di giustizia e così, con la sua più recente giurisprudenza, ha rimesso sé stessa al centro del processo di integrazione europea: insomma, sarà sempre la Corte costituzionale che dovrà valutare, caso per caso, se, un determinato diritto fondamentale, pur avendo lo stesso “nome” (sia nell’ordinamento europeo, sia in quello italiano), riceva a livello Ue la stessa tutela che riceve a livello costituzionale (sentt. 269/2017; 20, 63 e 112 del 2019; 254/2020; 182/2021).
Questo perché quegli stessi diritti, a livello europeo, possono subire tutte le limitazioni necessarie (purché non ne sia lesa la sostanza) al raggiungimento degli obiettivi posti dal Trattato Ue: la costruzione e la tutela del mercato e della libera concorrenza, la stabilità dei prezzi, l’unione economica e monetaria, ecc.
Arriviamo dunque al nocciolo della questione: la Corte costituzionale continua a mantenere un ruolo centrale nella definizione del rapporto tra i due ordinamenti perché ha mantenuto a sé stessa la competenza più importante e cioè quella di proteggere il nucleo intangibile di valori sui quali trova il proprio fondamento il nostro ordinamento costituzionale, che sono molto molto diversi da quelli propugnati a livello europeo.
E, direi, per fortuna che è così! Perché i fini generali verso i quali l’Ue tende non sono affatto quelli di eguaglianza sostanziale, solidarietà sociale, progressività del sistema fiscale e conseguente redistribuzione dei redditi, ecc., verso i quali deve tendere il nostro ordinamento perché così sancito dalla Costituzione italiana.
Che la Polonia abbia un governo di estrema destra decisamente sovranista è incontrovertibile, ma mi sembra altrettanto incontrovertibile che l’ordinamento europeo, così com’è, deve incontrare dei limiti fissati a livello nazionale, che gli impediscano di travolgere tutto il sistema di valori, principi e diritti fondamentali su cui si basano le attuali Costituzioni democratiche.
La sovranità, non c’è alcun dubbio, appartiene ancora ai popoli degli Stati membri, che sono sempre i “signori dei Trattati”, come si evince dalla possibilità di recedere dall’Ue prevista dall’art. 50 Tue. Con la conseguenza che il diritto eurounitario deve limitarsi a produrre norme solo e soltanto nelle materie di propria competenza, senza trucchi e senza trabocchetti. E, soprattutto, senza sgomitare per imporre il proprio primato, ricorrendo a una discutibile strategia estorsiva quale quella portata avanti attraverso le condizionalità cui sono soggette le erogazioni degli aiuti europei del Recovery fund predisposti per fare fronte alla catastrofe causata dalla pandemia.
Insomma, le limitazioni della nostra sovranità cui abbiamo consentito ex art. 11 Cost. non possono tollerare che l’Ue stravolga i fondamenti sociali, democratici, egualitari, rappresentativi, che auspicabilmente dovrebbero continuare a caratterizzarci almeno fino a quando l’Ue stessa non sarà anch’essa costruita sugli stessi fondamenti e non solo, per la gran parte, su fini esclusivamente economico-finanziari.
*L’autrice: Fiammetta Salmoni è professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico presso l’Università degli Studi Guglielmo Marconi. Questo articolo è stato scritto per Media Alliance un progetto di transform!Europe in partnership con transform!Italia di cui fa parte anche Left
#L’appuntamento: Il 3 dicembre alle ore 11 l’evento Poland, Europe. Democracy, migrants and border, gender rights a cura di Media Alliance
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