Otto milioni di morti, torture, stupri e un’antica cultura cancellata. È questo il “lascito” di Leopoldo II al Congo sottomesso e dominato per quasi un secolo con l’aiuto di missionari cattolici. Ora una commissione speciale ha fatto luce sulle responsabilità del Belgio

«Come forma e figura, atto e relazione, la colonizzazione è stata, per molti versi, una coproduzione di coloni e colonizzati. Insieme, ma con posizione diverse, hanno forgiato un passato. Tuttavia avere un passato in comune non significa necessariamente averlo in condivisione».
Si apre così il rapporto sul passato coloniale del Belgio nell’attuale Repubblica democratica del Congo depositato il 26 ottobre dalla commissione di esperti davanti al Parlamento belga; con una citazione del filosofo camerunense Achille Mbembe, in cui si trova riassunta l’essenza stessa di un fenomeno tanto complesso quanto violento, le cui conseguenze sono ancora vive nell’humus socio-culturale del paese africano.
Il panel di esperti della “Commissione speciale incaricata di analizzare lo Stato Libero del Congo e il passato coloniale belga in Congo” composto da studiosi, antropologi e storici del colonialismo, dietro incarico del governo di Bruxelles, ha tracciato in poco meno di 650 pagine uno spaccato analitico dell’esperienza coloniale raccolta tra il 1885, anno di istituzione dello “Stato Libero del Congo”, proprietà privata del re Leopoldo II, e il 1960, data ufficiale dell’indipendenza congolese.

Quanto si evince dal rapporto è l’ennesima conferma di una storia tristemente nota ma mai prima d’ora approfondita con tanta analisi: l’imperialismo belga ha rappresentato uno degli eventi più violenti, brutali e opprimenti della storia globale moderna e contemporanea.
Più di otto milioni di morti tra la popolazione locale, un sistema di tortura e violenza sessuale istituzionalizzato su ogni livello dello sfruttamento produttivo e un impoverimento trasversale di una terra naturalmente ricca (solo nel 1903 furono prodotte ed esportate ben 5.900 tonnellate di gomma, mentre tra il 1884 e il 1904 furono inviate in Europa 445mila zanne di elefante).

Uno scenario macabro che Mark Twain già nel 1905 ne Il soliloquio di re Leopoldo definiva «genocidio mascherato» e le cui conseguenze si respirano ancora oggi all’interno del Paese africano, caratterizzato da un sistema socio-politico che definire fragile è un eufemismo.
La Repubblica democratica del Congo, secondo il rapporto del Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (Undp), attualmente si classifica 175esima su 189 Paesi in termini di indice di sviluppo umano, con un tasso di analfabetismo che sfiora il 25% della popolazione (45% per le donne) e una media di settanta neonati ogni mille nati vivi che non superano l’anno di vita. Tutto questo mentre il sottosuolo ricco di minerali continua a garantire il 70% della produzione mondiale di cobalto (una delle materie prime essenziali per la fabbricazione di componenti elettroniche), con circa 100mila tonnellate di minerale estratte ed esportate nel solo 2020, e multinazionali come Tesla, Bmw e Samsung che si assicurano forniture astronomiche per…


L’articolo prosegue su Left del 3-9 dicembre 2021

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