Dopo lungo ostracismo il libro di Berizzi sarà presentato il 15 nel capoluogo scaligero. La Verona nera ha molte ribalte nel bene e nel male. Ciò che manca ancora è una narrazione della resistenza antifascista di tanti gruppi di base. Ecco le loro testimonianze

Verona deve la sua fama mondiale a Shakespeare e alla leggenda di Giulietta e Romeo. La città patrimonio Unesco da inizio secolo racchiude oltre 2000 anni in storia in poco più di 200 chilometri quadrati. Ma il centro veneto è un caso unico nel panorama nazionale perché, nell’immaginario collettivo, viene spesso associato allo stereotipo del laboratorio della destra radicale.

In effetti nella città scaligera integralismo cattolico, estremismo, leghismo in salsa nativista e neofascismo si sono saldati un in mix letale dando luogo a un sovranismo in salsa provinciale molto pericoloso. Questo identitarismo esasperato, inizialmente sviluppatosi all’interno di formazioni minoritarie e coltivato nello stadio e nelle piazze, è riuscito da tempo a varcare la soglia di Palazzo Barbieri, sede dell’amministrazione comunale.

Tutto questo è documentato dall’ultimo libro del giornalista di Repubblica Paolo Berizzi, É gradita la camicia nera (Rizzoli, 2021): un racconto sulle trame nere della città veneta. La casa editrice, nelle ultime settimane, ha provato ad organizzare la presentazione del libro, ma a lungo senza riuscirci: nessuno a Verona sembrava disposto ad ospitare un evento che affronti l’argomento. Ora finalmente spunta la data del 15 dicembre quando il libro sarà presentato al Teatro Santissima Trinità da Maurizio Landini (Cgil) e Gianfranco Pagliarulo (Anpi). Ricordiamo che Berizzi è l’unico giornalista europeo ad essere sotto scorta per le minacce ricevute dai gruppi neonazisti.

Bene. Ora di tratta per di valorizzare chi ogni giorno lavora e combatte nel cuore della città, per rendere Verona un luogo migliore, aperto, solidale ed inclusivo. E che non strumentalizza le tradizioni locali per rilanciare una narrazione cittadina fatta di esclusione nei confronti del diverso, di tutto ciò che non conforme rispetto ai canoni comunemente accettati dai butei, termine dialettale veneto che sta per “ragazzi” .

«Un’altra Verona c’è, ma è schiacciata dall’arroganza e dalla presunzione di quell’altra parte di città» racconta Sofia Modenese, 27 anni, maestra elementare, ex attivista di Unione degli universitari (Udu) e fondatrice dell’associazione antifascista Yanez. Sofia vive in un paesino della provincia, Bovolone, e nel 2016 venne pubblicamente attaccata dagli indipendentisti veneti per le sue prese di posizione a favore dell’accoglienza di un gruppo di migranti in un capannone una cooperativa. «Si creano dei momenti di socialità e possibilità per chi vuole cambiare tutto quello che è stato l’ultimo periodo, abbastanza lungo, di una Verona nera. Che però poi così nera non è».

Associazioni di volontariato, movimenti ambientalisti, sindacati e organizzazioni antifasciste esistono, conferma Sofia. «Ma è un mondo frastagliato e diviso dall’arroganza della destra», che non riesce a compattarsi perché «anche solo trovare luoghi e sale per riuscire a fare tutte le nostre attività è difficile. Noi non abbiamo ancora una sede, e ce ne sarebbero di spazi che il Comune potrebbe dare in usufrutto. Ma non lo fanno».

«Dopo l’ennesima alluvione che ha colpito la città ad agosto, come Udu ci siamo riuniti insieme a Fridays for Future ed Extinction Rebellion per formare squadre di volontari pronti a portare aiuto. Durante la pandemia, con gli studenti universitari abbiamo organizzato un servizio di consegna della spesa per chi non poteva muoversi da casa», conclude poi la giovane.

Dopo la tagliola parlamentare che ha affossato il Ddl Zan, numerose persone si sono riunite in piazza Brà per far sentire la propria al grido di «Voi voto segreto, noi piazze piene». All’appello, lanciato dal mondo progressista veronese, hanno risposto oltre 600 persone.

Giovanni Zardini è uno storico attivista per i diritti Lgbtqi e presidente del Circolo Pink, che nasce nel 1985. Mi viene raccontata la storia di questa associazione delle sue tante battaglie. «Portiamo avanti azioni continue per contrastare omofobia e transfobia dilaganti in città. Verona nel ’95 approvò la mozione omofoba n.336, tutt’ora in vigore, e l’ultimo tentativo dei consiglieri di centrosinistra Federico Benini e Michele Bertucco di riportare questi testi in discussione in consiglio comunale hanno ricevuto un ennesimo stop».

Questo testo, spiega Zardini, non solo definisce l’omosessualità un comportamento contro natura, ma prevede il respingimento della risoluzione del Parlamento Europeo che invita gli Stati membri a porre fine alle discriminazioni giuridiche tra persone omosessuali ed eterosessuali. In seguito alla sua approvazione nacque il comitato “Alziamo la testa”, che il 30 settembre 1995 organizzò un corteo per chiederne l’abrogazione. «Fu la prima grande manifestazione Lgbt italiana organizzata fuori Roma», ricorda Gianni. «Vi presero parte oltre 5000 persone». Ma né questa manifestazione né le altre due che vennero organizzate nel 2001 e nel 2005 servirono a cambiare le cose.

Negli ultimi anni, l’ostilità di buona parte dell’amministrazione verso gay, lesbiche e trans è culminata nel 2018 con la proclamazione del capoluogo veneto come «città a favore della vita». Questa fu la spinta che portò all’organizzazione di una giornata di lotta intitolata “Molto più di 194” a cui parteciparono più di cinquemila persone. Eppure, né la manifestazione del 1995, né questa, né le centomila persone venute il 30 marzo 2019 a dimostrare il proprio dissenso contro l’organizzazione del World Congress of Families, sono riuscite a scuotere la giunta Sboarina e a farla demordere dai propri intenti.

Ma l’attività di Giovanni e gli altri va ben oltre. «Nel 2017 nasce il Pink refugees che è un servizio specifico per migranti Lgbtqi che arrivano dall’Africa» mi dice il numero uno del Pink, precisando poi che «dal 2017 a oggi abbiamo accolto quasi 300 persone, e a più di 100 di loro è stato riconosciuto lo status di rifugiato. Uniamo affermazione, resistenza e proposta- conclude -perché questa città non vive solo chiaramente di razzismo e fascismo, ma anche di proposte culturali. Ed è proprio dalla cultura che bisogna ripartire, perché il problema è culturale».

Un’altra “eccellenza” cittadina è la Ronda della carità, una realtà che si occupa da quasi 26 anni di assistenza alle persone senza fissa dimora che non hanno accoglienza all’interno dei dormitori. «Noi volontari consegniamo una media di circa 200 pacchi a sera» afferma Alberto Sperotto, il presidente, che tiene a specificare come i numeri siano aumentati dopo la pandemia. «Nel marzo 2020 facevamo più o meno 80 pasti a sera, a ottobre siamo arrivati quasi a 300. E la media adesso si sta stabilizzando sui 220 a notte». A Verona la Ronda ha un’alta reputazione, e i veronesi sono molto vicini alle sue attività, visti anche i numeri. I volontari sono circa 330, mentre più del 50% dei fondi che vengono raccolti arrivano direttamente da privati cittadini.

Ma le istituzioni come si pongono nei confronti di queste persone? «Con l’amministrazione si collabora anche se è pur vero che in città esiste un regolamento della polizia municipale, approvato ai tempi della giunta di Flavio Tosi – ex primo cittadino – che vieta il “bivacco”. Ma come si può equiparare chi va a sostare in Piazza Bra dopo aver partecipato ad un concerto all’Arena con chi lo fa perché non ha una casa?» domanda Sperotto, che conclude ricordando che il Comune spesso intraprende azioni di disturbo e di sgombero nei confronti delle persone che dormono all’interno delle strutture abbandonate senza proporre loro una alternativa.

Tornando alla domanda che ci siamo fatti all’inizio: Verona è quindi una città estremista e fascista? Federico Benini, consigliere comunale di opposizione del Partito democratico è categorico nell’escluderlo.

«Guardiamo il numero di voti che i due consiglieri comunali apertamente di estrema destra prendono: insieme non raggiungono le 500 preferenze. Di che cosa stiamo parlando?» sostiene. Benini, che i numeri li sa maneggiare bene, essendo anche titolare dell’Istituto di sondaggi Winpoll. «Non voglio contestare quello che scrive Berizzi, che ha fatto un’analisi accurata» prosegue il giovane politico, «ma l’idea che la mia città sia solo questo, non mi sento di dirlo. Verona è anche questo, ma è anche molte altre cose che però non fanno rumore perché fanno parte di storie e persone che fanno volontariato, che si adoperano per gli altri e che lavorano in silenzio senza fare delle azioni che destano clamore».

«Se Sboarina facesse dichiarazioni esplicitamente nostalgiche non vincerebbe le elezioni», dice l’esponente dem, «i veronesi non sono dei fascisti, perché se lo fossero voterebbero il solito candidato di Forza Nuova che ad ogni tornata elettorale non è andato oltre l’1%».

L’ultimo passaggio di Benini è sul futuro della città, che dovrà scegliere la nuova amministrazione nel 2022. Alle scorse elezioni, nel 2017 , il ballottaggio fu appannaggio del centrodestra: da una parte Federico Sboarina, attuale primo cittadino a capo di un fronte largo composto da civiche, Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia; dall’altra, Patrizia Bisinella, compagna dell’ex sindaco Flavio Tosi, sostenuta da liste civiche di destra. Il centrosinistra, diviso in due, non riuscì ad accedere al secondo turno. Ma stavolta, mi spiega Federico, è diverso, perché «cinque anni fa l’elettore di centrosinistra per quale motivo doveva dare il voto già sapendo che si sarebbe perso? Adesso ci sono dei presupposti diversi, abbiamo già individuato un candidato – l’ex calciatore Damiano Tommasi – appoggiato da una coalizione compatta che va dal centro alla sinistra e di cui il PD è il perno. Si sta già costruendo una proposta che ha lo scopo di essere competitiva e che può ambire alla guida della città».

Che dire, la sfida è molto ambiziosa, in una città in cui negli ultimi 15 anni circa il 65% delle persone ha dato la propria preferenza a liste di destra o centrodestra. Ma qui quello che dovrà fare la prossima amministrazione è chiaro: dovrà recidere una volta per tutte i legami tra la curva, i partiti estremisti e i mondi dell’integralismo cattolico con le istituzioni cittadini. E cominciare a dare voce all’altro pezzo di città, quella solidale, aperta, multiculturale e che non si barrica dietro alle usanze popolari per portare avanti discorsi carichi d’odio e di esclusione. Perché diciamolo: un’altra Verona esiste!