«In questo nuovo mondo, di fronte a questa sua atipica ma quotidiana conflittualità, ambiguo ed insidioso connubio tra pace e guerra, l’Italia ha il diritto ed il dovere di far sentire la sua costante presenza, di intervenire per portare un contributo originale di valori e di opere alla costruzione del proprio benessere e di quello di tutti gli altri popoli».
Questa frase campeggia nel sito del ministero della Difesa italiano nella sezione “Missioni di pace nel mondo, Ieri e Oggi”. È la retorica del peacekeeping. Oramai è una costante di ogni intervento militare, soprattutto per i Paesi europei, dove la società civile è sempre meno incline ad accettare l’utilizzo e il sacrificio dei propri soldati in contesti di crisi lontani. Ma se oramai l’abuso di questa formula e l’evidente ipocrisia del mondo occidentale hanno reso questa scusa sempre più debole agli occhi dell’opinione pubblica, un recente rapporto pubblicato da Greenpeace (The sirens of oil and gas in the age of climate crisis) ha strappato gli ultimi residui di quel velo di Maya che copre l’interventismo militare dei Paesi più industrializzati. Interventismo, per inciso, sempre a danno di regioni del pianeta ricche di risorse, idrocarburi in primis.
Questo ovviamente vale sia per l’Unione europea che, soprattutto, per l’Italia. Vediamo in che termini. Secondo il report, circa il 66% delle operazioni militari europee servono in massima parte a tutelare attività di ricerca, estrazione e importazione di gas e petrolio nel nostro continente. E il nostro Paese è ai primi posti tra i 27 con il 64% del budget militare impiegato in operazioni di tutela della nostra «sicurezza energetica». In pratica parliamo di circa 797 milioni spesi nel 2021 (2,4 miliardi negli ultimi 4 anni). Seguono la Spagna con 274 milioni di euro (26%) e la Germania 161 milioni (20%). I ricercatori di Greenpeace (guidati per la sezione italiana da Sofia Basso) hanno passato al setaccio i documenti e le schede di missione inviate dal governo italiano al Parlamento e se ovviamente nessuna di queste ha l’esclusivo obiettivo di proteggere le piattaforme Eni, la sicurezza energetica compare spesso tra i fini da raggiungere.
Il caso più eclatante è Mare sicuro, la missione che si svolge nel mar Mediterraneo a largo delle coste libiche. Sempre secondo il sito del ministero «i compiti della missione sono le attività di supporto e di sostegno alla Guardia costiera e alla Marina militare libiche per il contrasto dell’immigrazione illegale e del traffico di esseri umani»; mentre, secondo i…
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