La Commissione europea prepara una direttiva sulla falsariga della nuova legge spagnola che regola le condizioni di lavoro dei rider. Se approvata, potranno diventare dipendenti a tutti gli effetti con conseguenti diritti e tutele garantiti

Innovare con equità, finalmente l’Europa ci chiede qualcosa di buono.
La Commissione europea decide infatti di controbilanciare la svalutazione dei rapporti di lavoro, uno degli aspetti ingiusti della tanto acclamata digitalizzazione, e prepara una proposta di direttiva che stabilisce i criteri di base sia per regolare le condizioni di lavoro legate alle piattaforme digitali sia per fornire ai 27 Stati membri un quadro di riferimento univoco per l’Unione che chiarisce cosa sia un contratto commerciale e cosa debba essere considerato un rapporto di lavoro.

Si tratta di un primo step: dalla redazione di una proposta all’entrata in vigore di una direttiva passano sempre diversi mesi. Fatto sta che l’esecutivo europeo che da un lato si è “arreso” di fronte al successo delle piattaforme digitali come nuovo modello di business, dall’altro lancia un segnale importante che risponde alla necessità di rafforzare i diritti sociali e lavorativi di chi fa parte della cosiddetta gig economy. E lo fa affrontando proprio la questione più controversa, quella che ha già causato più scontri nei tribunali: chi lavora per le piattaforme digitali è un dipendente o un lavoratore autonomo?

Sciogliere questo nodo sarebbe un passo avanti verso l’umanizzazione di quei tanti rapporti di lavoro veicolati da startup e algoritmi che più sfruttano e più guadagnano. Rider che sfrecciano, freelance che disegnano siti web, fanno traduzioni, compilano sondaggi online o operazioni di data entry, oggi costretti ad accettare condizioni di lavoro indecenti, potrebbero diventare dipendenti a tutti gli effetti con conseguenti diritti e tutele garantiti. Avrebbero salario minimo, contrattazioni collettive, norme sull’orario di lavoro, protezione sanitaria, ferie e assenze per malattia remunerate, congedo parentale, protezione dagli incidenti sul lavoro, sussidi di disoccupazione e pensione di anzianità.

La direttiva stabilisce cinque criteri per definire se un lavoratore autonomo che svolge servizi per una di queste piattaforme debba essere riclassificato come dipendente. Il primo criterio è il livello di remunerazione e l’esistenza o meno di limiti; poi il controllo sull’esecuzione del lavoro con mezzi elettronici; la possibile restrizione della libertà di scelta dell’orario di lavoro o dei periodi di assenza, di dire no ad alcune mansioni e di usare sostituti o subappaltatori; la determinazione di specifiche regole vincolanti in ordine all’aspetto, alla condotta nei confronti del destinatario del servizio o all’esecuzione dell’opera; infine la…


L’articolo prosegue su Left del 17-23 dicembre 2021

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