La nave è sempre la Bahri Yanbu, che da anni fa la spola tra Usa, Europa e Arabia Saudita. Lunedì ha fatto scalo al porto di La Spezia e trasportava materiali militari e esplosivi. Una fonte ha raccontato a Il Manifesto: «Sono più o meno dieci, carri armati senza i cingoli atti al movimento nel deserto. Sono mezzi da guerra: nonostante la fasciatura chirurgica si può scorgere la forma del cannone. Sui ponti di coperta, come sempre, ci sono moltissimi contenitori con all’interno esplosivo. Lo usano poi per riempire gli involucri delle bombe. Imbarcati negli Stati Uniti».
Opal (l’osservatorio permanente sulle armi leggere e sulle politiche di difesa e sicurezza) ci fa sapere che i veicoli provengono dal Canada, spediti dalla General dinamic land systems, specializzata in mezzi militari corazzati da combattimento e in carri armati. Sono destinati alla Royal Guard, la Guardia Reale della Monarchia assoluta islamica dell’Arabia Saudita. Si tratta di veicoli blindati su gomma Apc (Armoured personal carrier, veicoli per trasporto truppe) modello Lav, fabbricati in Canada nello stabilimento di London, Ontario, dalla General Dynamics Land Systems. Un rapporto di Project Ploughshares e Amnesty International dello scorso agosto documenta che questo tipo di veicoli è stato impiegato nella guerra in Yemen. Conflitto che è iniziato nel marzo del 2015 con l’intervento militare a guida saudita e, secondo l’ufficio delle Nazioni Unite UNDP, ha portato ad oltre 377mila vittime, dirette e indirette, tra cui la metà bambini al di sotto dei cinque anni.
Opal aveva già chiesto alla Prefettura e alla Capitaneria di Porto-Guardia costiera di verificare preventivamente se la nave Bahri Yanbu stia trasportando materiali militari diretti a Paesi sottoposti alle misure di divieto di esportazione. La Legge n. 185 del 1990 (Nuove norme sul controllo dell’esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento), che regolamenta tutta questa materia, ha stabilito una serie di divieti non solo all’esportazione ma anche al transito di materiali militari. Tra questi il divieto all’esportazione e al transito di materiali di armamento «verso i Paesi in stato di conflitto armato», «verso Paesi la cui politica contrasti con i princìpi dell’articolo 11 della Costituzione», «verso i Paesi i cui governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani» (art. 1.6). L’abbiamo scritto molte volte, vale la pena ripeterlo.
In porto alla Spezia, le operazioni di carico e scarico della nave cargo saudita Bahri Yanbu, arrivata lunedì mattina al Terminal Container Lsct (molo Garibaldi), hanno visto «un ingente dispiegamento di Forze dell’ordine» che avrebbero assistito alle operazioni di carico di una «quarantina di casse di materiali, nello scalo da alcuni giorni, di cui non è stato reso noto né il contenuto né il mittente».
L’Arabia Saudita, nonostante piaccia tanto a qualche nostro senatore, nel 2015 è intervenuta militarmente (e illegittimamente) in Yemen. Contro l’Arabia Saudita ci sono almeno 10 risoluzione dell’Ue per avviare un processo di embargo. Lo Stato italiano, nel gennaio dello scorso anno, a seguito della Risoluzione della Commissione Affari esteri e comunitari, ha deciso di revocare le licenze relative alle esportazioni verso l’Arabia Saudita e gli Emirati arabi uniti di «bombe d’aereo e missili e loro componentistica che possono essere utilizzate per colpire la popolazione civile in Yemen».
Provate a immaginare quanto sarebbe grave un così ampio dispiegamento di forze dell’ordine in un porto per permettere di infrangere la legge.
Buon giovedì.
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