«Oltre alle relazioni economiche il neoliberalismo ha cambiato anche quelle interpersonali, sostituendo la concorrenza alla collaborazione, la truffa all’aiuto, generando quel senso di isolamento diffuso ora acuito dalla pandemia» osserva l’economista Noreena Hertz

In questi mesi, abbiamo imparato a convivere con una strana compagna, la solitudine. La pandemia ci ha costretti a isolarci fisicamente da chi ci circonda, a intuire nell’altro una minaccia. Ci ha obbligati a fare i conti con il tempo, così radicalmente mutato; e, rinchiusi in casa, a condividere spazi ristretti, senza che questo riducesse il nostro senso di solitudine, anzi. Noreena Hertz, economista e direttrice del Centre for international business and management dell’Università di Cambridge, avverte nel suo Il secolo della solitudine (il Saggiatore): la pandemia ha potenziato una solitudine che, tuttavia, ha radici ben più profonde e più remote. Soprattutto, con la pandemia ci siamo resi conto che «la solitudine non è solo un problema individuale, ma anche una questione sociale, politica, economica». La solitudine non è la sola disconnessione da coloro con cui dovremmo sentirci intimi: essa «riguarda anche il non sentirsi sostenuti e curati dai nostri concittadini, dai nostri datori di lavoro, dalla comunità, e soffrire l’esclusione politica ed economica da parte delle istituzioni».

Noreena Hertz, viviamo in una società in cui la tecnologia ci permette di connetterci con ogni parte del mondo. Perché il digitale non mantiene ciò che promette, ma provoca l’atrofia delle competenze relazionali?
Ci sono tre modi diversi in cui le tecnologie ci stanno rendendo meno connessi. Il primo è quello dei social media, venduti come un modo per socializzare mentre la realtà rivela l’opposto. Le nostre interazioni sui social media sono meno profonde, meno empatiche. I social media sono dei fast-food della relazione, dove ci si strafoga senza che questo generi un vero benessere. Queste piattaforme poi sono esplicitamente progettate per creare dipendenza, per indebolire le interazioni faccia a faccia. Inoltre, i social media spesso fungono da vettori di esclusione: ho intervistato molti adolescenti per il mio libro, raccogliendo storie di emarginazione attraverso i social network o casi in cui l’adolescente si sentiva non corrisposto perché nessuno apprezzava i suoi post. Certo, i bambini hanno sempre sofferto casi di emarginazione. Ma oggi questa esclusione è pubblica, il dolore perseguita fin dentro il quotidiano. La solitudine va dalla sensazione che chiunque sia più popolare di noi e abbia una vita migliore della nostra, al vero e proprio abuso.

Quali sono le altre forme di tecnologia che ci rendono soli?
Ci sono altre due forme di tecnologia che stanno giocando un ruolo nella nostra vita solitaria. Innanzitutto le…


L’intervista prosegue su Left del 21-27 gennaio 2022 

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