Se i partiti vivono l’elezione del presidente della Repubblica come occasione di accrescimento del prestigio personale dei proponenti e non come momento di responsabilità per eleggere un garante della Repubblica, è inevitabile che lo spettacolo sia quello che è. L’elemento straordinariamente prevedibile è che ancora una volta tutti riescono meravigliosamente ad apparire perdenti, confusi, egoisti e non all’altezza. Come è sempre accaduto in questi ultimi anni.
Così negli ultimi giorni abbiamo assistito a una girandola di nomi che non vengono discussi per il Presidente che potrebbero essere, ma che vengono marchiati dal proponendo, dimostrando ancora una volta che l’arco parlamentare non riesce ad elevarsi nemmeno di fronte al più alto atto repubblicano, ovvero la convergenza sul più alto rappresentante. Prevedibile anche questo: sono gli stessi partiti che hanno dimostrato ben poco senso di responsabilità e di unità di fronte a una pandemia.
Di fondo c’è che i partiti, ma soprattutto le coalizioni, sono messe maluccio. Nel centrodestra Salvini è sempre di più il disturbatore che si affanna per apparire nelle inquadrature. Sono giorni che ci dice di avere un nome di alto profilo e poi ci rifila il brodino di indigeribile berlusconiano. Del resto il leader leghista usa anche il Quirinale semplicemente per duellare con Giorgia Meloni, vivendo qualsiasi epoca politica come occasione di show. Il centrodestra non esiste ed è sempre uguale a se stesso: solo l’auto candidatura di Berlusconi è riuscita a tenere a cuccia la coalizione. Siamo sempre lì, sono ancora lì.
Resta da capire come Pd e M5s possano pensare di costruire un fronte progressista se non riescono a trovare un punto comune nel giudizio delle personalità in campo. Non si tratta solo della tiepidezza delle proposte (proporre un Mattarella bis e Draghi come ripiego è la solita scelta non-scelta di sponda di chi non sa decidersi per decidere), le trattative per il Quirinale hanno mostrato la fragilità (per usare un eufemismo) dell’accordo tra un partito, il Pd, con un gruppo parlamentare più fedele a un fuoriuscito che al suo segretario e con il M5s che è evidentemente attraversato da correnti. Anche nel loro caso guardandoli da fuori non fanno una gran figura.
Così si cerca affannosamente un nome autorevole estraneo alla politica senza rendersi conto che il ruolo del Presidente sia invece politicissimo, ma politico nel senso alto del termine, di quella consapevolezza e avvedutezza che sarebbe richiesta. Avere un presidente del Consiglio e un presidente della Repubblica che hanno come principale caratteristica quella di essere non politici non è una buona notizia. Si sperava che avessimo imparato la lezione, e invece no.
In un’elezione rivolta più ai sondaggi e al branding che all’individuazione di una figura all’altezza è inevitabile che possa accadere di tutto, perfino che si trovi un accordo all’ultimo momento. Del resto inseguire il sentimento dell’indignazione porta i leader di partito a cedere alla velocità come elemento fondamentale dell’elezione del Presidente. C’è un’emergenza, scrivono qui fuori, e quelli dimenticano che la politica è trattativa (leale e alta, possibilmente) e che Sandro Pertini fu eletto dopo 16 scrutini con il Paese nel buio dell’uccisione di Aldo Moro avvenuto un paio di mesi prima. Non è la quantità del tempo ma è la qualità del tempo a essere sconsolante.
Fumo molto, sostanza poca.
Buon venerdì.