Dalla lirica in gaelico di Merriman ai Nobel Yeats e Heaney, passando per Joyce. Nel libro di Piero Boitani Vedere le cose si indaga il percorso poetico di un’isola dove ancora si guarda al poeta come a una guida, proprio per la sua ricerca di umanità e bellezza

Sostiene Seamus Heaney, tra i più grandi poeti dell’Irlanda moderna e della contemporaneità: «Non mi viene in mente nessun caso in cui la poesia abbia cambiato il mondo»; e poi aggiunge: «Però, può cambiare il modo di capire quel che accade, nel mondo». Cambiare il mondo è un’ambizione di molti, e non sempre sono poeti. Ma di poeti che ambivano a tanto ce ne sono da sempre, e lo dimostra il caso irlandese. Patrick Pearse, ad esempio, il leader della Rivoluzione di Pasqua del 1916 sedata nel sangue dagli inglesi, consegnò il suo messaggio di rivoluzione non soltanto a comizi e proclami, ma anche ai versi: «Mia madre mi ha partorito in catene, in catene mia madre venne al mondo». Come lui tanti altri, tra cui nell’Ottocento quel James Clarence Mangan che fu tra i poeti preferiti di Joyce: «Diffonditi, canto mio, come il fiume impetuoso / che scorre fino al mare potente». La sua politica era insita nella forza della parola. E questo Joyce lo coglierà appieno. Anche Heaney, il bardo di Derry, fu un poeta politico, ma in senso sottilissimo. Era noto in Irlanda mediante il faceto epiteto famous Seamus dettato non dalla tipica indole burlesca degli irlandesi. Era davvero famoso. Un fenomeno cult, quasi. I suoi libri divenivano spesso dei best-seller subito dopo l’uscita. È un dato di fatto che le librerie irlandesi siano piene zeppe di raccolte di poesia, e la rilevanza del genere nella società è assodata. Questo sin dai tempi dei filidh, ovvero i poeti tradizionali ereditari che nell’ordine sociale erano secondi soltanto ai re e collocati un gradino sopra i sacerdoti. Ai percorsi della poesia irlandese, a partire dai suoi albori per arrivare proprio ai tempi di Heaney, è dedicato un gran libro di Piero Boitani, Vedere le cose. Il grande racconto della poesia d’Irlanda, uscito da poche settimane per Mondadori. Trae il titolo da una nota raccolta quasi profetica di Heaney, Seeing Things, pubblicata nel 1991, quattro anni prima del Nobel, ed ha il grande pregio di proporre vedute che sono al contempo “dall’alto” e “al microscopio”. Indaga, ovvero, le radici storiche di un sentire quasi innato in una cultura legata, molto più di altre, ai sentieri dell’oralità. Una cultura, quella d’Irlanda, continuamente sull’orlo del baratro, minacciata dalle politiche dell’isola vicina, spesso infida sorella maggiore, che vedeva proprio nella creatività degli irlandesi l’afflato libertario di un popolo renitente a ogni idea di subalternità e soggiogamento. Subalternità e soggiogamento linguistici prima di tutto, ma poi anche sociali, religiosi, politici. Una condizione, quindi, pervasiva e oggi imprescindibile per chi voglia avvicinare la poesia antica e moderna dell’isola di smeraldo. Le sue radici, infatti, affondano nell’universo sfaccettato della lirica gaelica…


L’articolo prosegue su Left del 28 gennaio 2022 

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