Le forze dell’ordine che manganellano gli studenti mentre protestano per la morte di un compagno che faceva un tirocinio in fabbrica sono le stesse che non hanno opposto resistenza ai neofascisti che attaccavano la sede della Cgil. È questo il senso per la democrazia del governo Draghi?

Nei giorni scorsi in tutta Italia studentesse e studenti si sono mobilitati in presidi e cortei per ricordare la morte di Lorenzo Parelli, un ragazzo di 18 anni, un ragazzo come qualsiasi altro, morto ad Udine in un incidente sul lavoro mentre svolgeva uno stage previsto dal suo percorso scolastico. La notizia, la prima nel suo genere in Italia, ha lasciato sgomenti gli studenti dal Nord al Sud del Paese. Morire “di scuola” è inaccettabile e accanto al dolore non si può fare a meno di provare tanta rabbia.

Quanto accaduto, seppur per certi versi imprevedibile, di certo, in un Paese che conta 1.404 morti sul lavoro l’anno, non era inimmaginabile. In un mondo del lavoro precario ed insicuro, in cui vengono tolte anno dopo anno sempre più tutele, probabilmente era solo questione di tempo prima che ci scontrassimo con la dura realtà. Seppur Lorenzo non stesse svolgendo propriamente i Pcto (l’ex Alternanza scuola-lavoro), bensì un percorso di formazione duale presso un’azienda specializzata, la riflessione non può non andare alla nota Buona scuola del 2015 che ha introdotto e disciplinato tutti i vari percorsi lavorativi nel corso delle superiori. Ampiamente contestata già allora, rimane una legge che ha consentito una progressiva aziendalizzazione della scuola pubblica, in cui il percorso formativo di ciascuno studente è sempre più finalizzato esclusivamente all’inserimento nel mondo lavorativo, permettendo di fare esperienze di lavoro già in classe.

Dinanzi ad un mondo del lavoro in difficoltà, in cui abbondano contratti precari, scarse tutele, zero investimenti in sicurezza, riconoscere e legalizzare da parte della scuola attraverso stage e Pcto questa tendenza non può non portare ad altro se non a una normalizzazione del fenomeno. La morale che dunque si impone nella narrazione comune e in classe è quella del lavoro ad ogni costo, qualsivoglia siano le condizioni e la paga. E la scuola, purtroppo, continua ad inseguire il mondo lavorativo senza riflettere realmente su quelli che dovrebbero essere i propri obiettivi e le proprie finalità, educando alla precarietà, facendo apparire come casuale che si possa morire a 18 anni lavorando gratis.

La scuola dovrebbe essere la comunità dove si forma la coscienza e la personalità del singolo, dove si forma il cittadino del domani, conscio dei propri diritti e dei propri doveri, dove si rende lo studente in grado di scegliere da sé il proprio futuro, non il luogo atto a produrre esclusivamente individui atomizzati e specializzati da inserire nel mondo lavorativo. Proprio per questo occorrerebbe, invece, introdurre percorsi obbligatori che abbiano come finalità quella di formare gli studenti sul funzionamento del mondo del lavoro, passando dallo Statuto dei lavoratori alle nuove norme sulla sicurezza, studiando il funzionamento dei contratti e cosa può essere previsto al loro interno e cosa no.

Dopo una settimana di mobilitazioni in tutto il Paese, dopo che gli studenti e le studentesse hanno mostrato vicinanza, sensibilità e anche paura nei confronti della morte di Lorenzo, dal governo e dal ministero dell’Istruzione è arrivato solo silenzio. Di contro invece a Roma, Torino, Napoli e Milano si sono verificate cariche violente sugli studenti in seguito alle agitazioni, l’ennesima dimostrazione della totale incapacità da parte dello Stato non solo di ascoltare le istanze studentesche, ma anche di gestire il dissenso nei confronti delle istituzioni e la normale democratica manifestazione delle proprie idee. Nel silenzio di un Paese che non riesce a discutere di giovani e di futuro, rimane indelebile la ferita lasciata dalla morte di Lorenzo, morto “di scuola”.


L’editoriale è tratto da Left del 4-10 febbraio 2022 

Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE

SOMMARIO