Michael e Meshack sono fuggiti dall’Ucraina aggredita da Putin. Sono due ventenni che a Kiev studiavano economia e medicina all’università. «Come molti altri sono arrivati in Europa per salvarsi, confidando nell’enorme sforzo che l’Ue sta compiendo per accoglierli», scrive Giulio Cavalli che ne ha raccolto la storia per Left. A Palermo una signora che aveva messo a disposizione un alloggio per accoglierli ha ritirato la sua offerta quando ha saputo che si trattava di due ragazzi africani. L’ucraino Myroslav (nome di fantasia), invece, arrivò in Italia nel 2018, aveva 22 anni. Trovato alla guida di una imbarcazione con 46 profughi iracheni, fu accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, e dopo tre anni di carcere in Italia e conseguente espulsione è giunto in Austria. Da qui lo scorso anno è stato respinto e deportato a Mariupol. «Siamo stati in contatto fino ai primi giorni dei bombardamenti russi ma da inizio marzo non ho più sue notizie», racconta la cooperante Valeria Colombo che osserva: «Oggi l’Italia apre le porte ai rifugiati ucraini, ma fino a ieri questi erano nel mirino delle autorità di frontiera. Negli ultimi anni decine di cittadini ucraini sono stati arrestati o deportati dall’Italia con l’accusa molto traballante di essere scafisti». Attraverso la sua corrispondenza e quella della cooperante Nawal Soufi dal confine bielorusso con la Polonia raccontiamo l’immane emergenza umanitaria causata dal criminale attacco di Putin all’Ucraina, che ha già prodotto 4 milioni di profughi. Lo facciamo, tramite il reportage di Soufi, senza dimenticare i profughi ancora prigionieri della foresta fra Polonia e Bielorussia “colpevoli”, per l’Unione europea che non li lascia entrare, di provenire da Siria, Iraq, Yemen, Palestina, Egitto, Iran, Congo, India, Pakistan. Lo facciamo senza dimenticare chi è costretto ancora a sfidare le acque del Mediterraneo pur di fuggire dai lager libici. Sono tutti ugualmente profughi. Tutti ugualmente scappano da un inferno di atrocità, come racconta in maniera toccante la nostra copertina disegnata fa Fabio Magnasciutti. Ma l’Europa ancora nega questa fondamentale e naturale uguaglianza. Sono stati fatti passi avanti, ma non sono ancora sufficienti: il 3 marzo per la prima volta è stata applicata la direttiva Ue 55/2001. Questa importante decisione, qui analizzata da Stefano Galieni, permette agli ucraini di poter circolare senza visto per 90 giorni all’interno dell’Unione europea ma soprattutto concede loro l’accesso accelerato alla protezione umanitaria per un anno, potendo così lavorare, andare a scuola, ricevere assistenza sanitaria. Ma se la Spagna ha deciso di applicarla in modo estensivo concedendola anche a cittadini di altre nazionalità che fuggono dall’Ucraina, non altrettanto hanno fatto Paesi come la Francia. Per non dire dei Paesi dell’Est che, come dimostra il caso polacco, sono i più restii ad aprire le porte senza distinzioni. Tutto ciò fa sì che mentre i profughi ucraini (giustamente!) possono ricollocarsi liberamente nei vari Paesi Ue, quelli che arrivano dall’Africa, dal Medio Oriente, anche se fuggono da guerre, devono sottoporsi a tutte le procedure d’asilo e non possono muoversi dal Paese di primo ingresso, come stabilisce il Trattato di Dublino che non è ancora stato modificato (anche per colpa di Salvini e della Lega). Ma c’è anche dell’altro: Polonia e Ungheria, che fanno a gara nel costruire muri e accolgono solo ucraini, bianchi e cristiani ora li usano come merce di scambio in una sorta di ricatto per costringere Bruxelles a sbloccare le decine di miliardi destinati ai loro Recovery plan nazionali bloccati a causa delle violazioni dello Stato di diritto messe in atto da Varsavia e Budapest. Come ben si vede, purtroppo, siamo ancora molto lontani da un’Europa dell’accoglienza nonostante i due milioni e mezzo di ucraini accolti in Polonia. Gesto eccezionale in questi giorni tragici. Ma forse dovremmo anche interrogarci, come ha fatto coraggiosamente Kenan Malik sull’Observer, sul perché questo forte senso in empatia con le speranze, le paure e le sofferenze delle persone in fuga scatti solo al grido: «Sono come noi». Se confrontiamo la crisi di oggi con la “crisi dei rifugiati” del 2015, troviamo una narrazione del tutto diversa. Allora fu detto, ricorda Malik, che l’Europa era stata travolta da una «invasione». Arrivarono 1,3 milioni di domande di asilo e «furono usate per serrare la Fortezza Europa e per trattenere centinaia di migliaia di persone nelle condizioni più spaventose su entrambe le sponde del Mediterraneo... Non è una questione di numeri ma di volontà politica e di confini sociali e immaginativi che tracciamo». Illustrazione di Fabio Magnasciutti per Left [su_divider style="dotted" divider_color="#d3cfcf"]
L'editoriale è tratto da Left dell'1-8 aprile 2022 
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Michael e Meshack sono fuggiti dall’Ucraina aggredita da Putin. Sono due ventenni che a Kiev studiavano economia e medicina all’università. «Come molti altri sono arrivati in Europa per salvarsi, confidando nell’enorme sforzo che l’Ue sta compiendo per accoglierli», scrive Giulio Cavalli che ne ha raccolto la storia per Left. A Palermo una signora che aveva messo a disposizione un alloggio per accoglierli ha ritirato la sua offerta quando ha saputo che si trattava di due ragazzi africani.

L’ucraino Myroslav (nome di fantasia), invece, arrivò in Italia nel 2018, aveva 22 anni. Trovato alla guida di una imbarcazione con 46 profughi iracheni, fu accusato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, e dopo tre anni di carcere in Italia e conseguente espulsione è giunto in Austria. Da qui lo scorso anno è stato respinto e deportato a Mariupol. «Siamo stati in contatto fino ai primi giorni dei bombardamenti russi ma da inizio marzo non ho più sue notizie», racconta la cooperante Valeria Colombo che osserva: «Oggi l’Italia apre le porte ai rifugiati ucraini, ma fino a ieri questi erano nel mirino delle autorità di frontiera. Negli ultimi anni decine di cittadini ucraini sono stati arrestati o deportati dall’Italia con l’accusa molto traballante di essere scafisti».

Attraverso la sua corrispondenza e quella della cooperante Nawal Soufi dal confine bielorusso con la Polonia raccontiamo l’immane emergenza umanitaria causata dal criminale attacco di Putin all’Ucraina, che ha già prodotto 4 milioni di profughi. Lo facciamo, tramite il reportage di Soufi, senza dimenticare i profughi ancora prigionieri della foresta fra Polonia e Bielorussia “colpevoli”, per l’Unione europea che non li lascia entrare, di provenire da Siria, Iraq, Yemen, Palestina, Egitto, Iran, Congo, India, Pakistan. Lo facciamo senza dimenticare chi è costretto ancora a sfidare le acque del Mediterraneo pur di fuggire dai lager libici.

Sono tutti ugualmente profughi. Tutti ugualmente scappano da un inferno di atrocità, come racconta in maniera toccante la nostra copertina disegnata fa Fabio Magnasciutti.

Ma l’Europa ancora nega questa fondamentale e naturale uguaglianza.
Sono stati fatti passi avanti, ma non sono ancora sufficienti: il 3 marzo per la prima volta è stata applicata la direttiva Ue 55/2001. Questa importante decisione, qui analizzata da Stefano Galieni, permette agli ucraini di poter circolare senza visto per 90 giorni all’interno dell’Unione europea ma soprattutto concede loro l’accesso accelerato alla protezione umanitaria per un anno, potendo così lavorare, andare a scuola, ricevere assistenza sanitaria. Ma se la Spagna ha deciso di applicarla in modo estensivo concedendola anche a cittadini di altre nazionalità che fuggono dall’Ucraina, non altrettanto hanno fatto Paesi come la Francia.

Per non dire dei Paesi dell’Est che, come dimostra il caso polacco, sono i più restii ad aprire le porte senza distinzioni. Tutto ciò fa sì che mentre i profughi ucraini (giustamente!) possono ricollocarsi liberamente nei vari Paesi Ue, quelli che arrivano dall’Africa, dal Medio Oriente, anche se fuggono da guerre, devono sottoporsi a tutte le procedure d’asilo e non possono muoversi dal Paese di primo ingresso, come stabilisce il Trattato di Dublino che non è ancora stato modificato (anche per colpa di Salvini e della Lega).

Ma c’è anche dell’altro: Polonia e Ungheria, che fanno a gara nel costruire muri e accolgono solo ucraini, bianchi e cristiani ora li usano come merce di scambio in una sorta di ricatto per costringere Bruxelles a sbloccare le decine di miliardi destinati ai loro Recovery plan nazionali bloccati a causa delle violazioni dello Stato di diritto messe in atto da Varsavia e Budapest. Come ben si vede, purtroppo, siamo ancora molto lontani da un’Europa dell’accoglienza nonostante i due milioni e mezzo di ucraini accolti in Polonia. Gesto eccezionale in questi giorni tragici. Ma forse dovremmo anche interrogarci, come ha fatto coraggiosamente Kenan Malik sull’Observer, sul perché questo forte senso in empatia con le speranze, le paure e le sofferenze delle persone in fuga scatti solo al grido: «Sono come noi».

Se confrontiamo la crisi di oggi con la “crisi dei rifugiati” del 2015, troviamo una narrazione del tutto diversa. Allora fu detto, ricorda Malik, che l’Europa era stata travolta da una «invasione». Arrivarono 1,3 milioni di domande di asilo e «furono usate per serrare la Fortezza Europa e per trattenere centinaia di migliaia di persone nelle condizioni più spaventose su entrambe le sponde del Mediterraneo… Non è una questione di numeri ma di volontà politica e di confini sociali e immaginativi che tracciamo».

Illustrazione di Fabio Magnasciutti per Left


L’editoriale è tratto da Left dell’1-8 aprile 2022 

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SOMMARIO

Direttore responsabile di Left. Ho lavorato in giornali di diverso orientamento, da Liberazione a La Nazione, scrivendo di letteratura e arte. Nella redazione di Avvenimenti dal 2002 e dal 2006 a Left occupandomi di cultura e scienza, prima come caposervizio, poi come caporedattore.