Repubblica titolava: “Perché l’aumento delle spese militari è un volano per l’economia”. La guerra per comprare armi è iniziata e trova i suoi scherani tra politici, giornalisti e presunti intellettuali. Ormai l’eccitazione è altissima.
Come scrive su Altraeconomia Lorenzo Guadagnucci «la logica di schieramento ha preso il sopravvento sul bisogno di riflessione. Le voci dissonanti, chi ha paventato un’estensione del conflitto, chi si è impegnato a ricostruire il ruolo della Nato dopo la fine dell’Urss con la sua discutibile espansione verso Est, chi ha fatto notare la discrepanza fra gli interessi della Nato a guida Usa e l’Unione europea, chi ha chiesto alla Ue di assumere un ruolo di mediazione anziché di parte in causa nel conflitto, chi ha parlato di resistenza civile da preferire a quella armata, è stato escluso dal dibattito, o relegato ai suoi margini. O, peggio ancora, è stato indicato come “amico di Putin”. La stessa manifestazione contro la guerra del 5 marzo è stata mal sopportata e quindi mal raccontata e poi espressamente attaccata (si è affermato nei media e in politica un esplicito antipacifismo). Un comodo “giornalismo di guerra” sembra avere preso il posto di un più difficile, ma necessario, “giornalismo nella guerra”. Comunque vada a finire, sarà difficile recuperare la credibilità perduta».
Ora partiranno i soloni a insegnarci che dobbiamo comprare armi per il nostro bene e Francesco Vignarca (di Rete italiana pace e disarmo) ha già suggerito cosa diranno: «Nonostante rapporti di forza in Parlamento non sarà così facile – scrive Vignarca – per governo (e fautori vari) concretizzare il “desiderato” aumento di spesa militare senza contrasto da opinione pubblica. Per cui, conoscendo i miei polli, ecco le “giustificazioni” pronte ad essere rilanciate: 1. “La spesa sociale e la spesa militare non sono in alternativa!” Forse a livello concettuale no (e ci sono vincoli che non permettono di trasferirla tutta…) ma ovviamente con risorse finite date se metti i soldi in una cosa non li hai più (o ne hai di meno) per l’altra… 2. “La spesa militare non è un costo ma un investimento!” Tutto da dimostrare, e comunque non vuol dire che si sa parlando di numeri astratti: sono soldi. In realtà è un gioco di parole (non si definisce nemmeno ambito semantico) per cambiare la “percezione”… 3. “La spesa militare conviene, ha ritorni economici!” Un “evergreen”, ampiamente smontato da numerosi studi… Certo qualsiasi spesa pubblica ha minimo ritorno economico e occupazionale (anche solo fordista) ma il problema è la minore efficacia e convenienza vs altri comparti. 4. “Aumento di spesa militare non è riarmo!” Certo c’è anche parte in uomini ed esercizio (pure missioni militari…) ma in media 25% va in nuovi sistemi d’arma (addirittura 30% per Italia recente). Quindi più spesa militare significa di certo più contratti per l’industria delle armi.
Osservate bene i giornali e le dichiarazioni dei prossimi giorni e ci troverete dentro tutto.
Buon mercoledì.