L'orrore compiuto a Bucha dalle truppe al comando di Putin è indicibile. È stato un eccidio di civili, con esecuzioni sommarie anche di anziani, donne e bambini. Di fronte alle immagini delle fosse comuni e dei cadaveri per strada c’è chi ha l’ardire di dubitare, negando questa agghiacciante realtà comprovata anche dalle immagini satellitari oltre che dalle testimonianze dei sopravvissuti. Torna alla mente Primo Levi quando diceva che non riusciva a parlare dell’Olocausto perché nessuno gli avrebbe creduto.
Mentre scriviamo dalla tv arrivano, violentissime, le parole del ministro degli Esteri russo Lavrov che parla di manichini, attori, sceneggiate. Come è possibile, ci chiediamo, che trasmettano questa criminale propaganda sulla tv pubblica italiana senza contraddittorio?
La verità atroce con cui dobbiamo tutti fare i conti è che truppe allo sbando in ritirata da Kiev o comandate dall’alto hanno commesso stragi sistematiche. Lo dicono i cadaveri ritrovati con le mani legate dietro la schiena, uccisi con colpi alla testa, non colpiti “per sbaglio” da un missile.
Ogni giorno si spalancano nuovi abissi di terrore. Non solo a Bucha ma anche a Irpin sarebbero state praticate torture di massa. E a Borodyanka ci potrebbero essere state più vittime civili che a Bucha. Arrivano notizie che parlano di stupri e atrocità di ogni genere con cui i soldati russi, le truppe cecene e i legionari della Wagner si sono accaniti sulle donne e sulla popolazione inerme, per distruggerne l’integrità psicofisica, arrivando poi a farne strage.
Conosciamo i crimini efferati e gratuiti che le truppe naziste in ritirata inflissero ai civili.
Ma guardando le immagini che arrivano da Bucha ci tornano alla mente anche i massacri compiuti nella ex Jugoslavia dai serbo bosniaci di Ratko Mladić, a cominciare da quello di Srebrenica.
E non sappiamo ancora quante persone sono state uccise a Mariupol, quasi rasa al suolo con la stessa tecnica a tenaglia che Putin aveva già usato ad Aleppo e a Grozny. Impossibile tacere. Non lo facemmo allora non lo facciamo oggi. Impossibile, da sinistra, non prendere posizione di fronte a questa atroce e insensata guerra in cui si fronteggiano un aggressore, la Russia di Putin e un aggredito, l’Ucraina di Zelensky, pur con tutti i difetti di una democrazia in fieri, con molte contraddizioni che non sono rappresentate solo dal battaglione Azov.
Fin dall’inizio di questa guerra nel nostro piccolo ci siamo schierati con nettezza per una proposta nonviolenta di risoluzione del conflitto, di costruzione della pace per via diplomatica, che non è stata ancora attuata con determinazione. Con dolore rileviamo che l’Europa non ha ancora esercitato quel ruolo che ci saremmo aspettati. Nata come sogno di pace, di costruzione democratica, inclusiva, basata sul rispetto dei diritti umani e sull’accoglienza, sta ancora mostrando troppo debolmente un volto democratico aprendo le porte ai profughi ucraini ma non facendo altrettanto con chi, di nazionalità diversa, fugge da questa o da altre guerre.
Cosa aspetta l’Unione europea a dare il via a una concreta iniziativa politica che porti a un cessate il fuoco e a una vera trattativa di pace? Perché in modo contraddittorio invia armi all’Ucraina ma poi continua di fatto a finanziare la guerra di Putin acquistando gas russo? Quante altre Bucha ci dovranno essere perché si decida per un embargo totale su gas e petrolio?
Invece di applicare sanzioni che ricadano in primis sullo zar e i suoi oligarchi, insensatamente, colpiamo il popolo russo isolandolo, mettendo al bando la sua straordinaria storia della letteratura e dell’arte, che innerva profondamente la cultura europea. Lavorare per un’Europa dei popoli e delle culture significa proteggere e preservare il patrimonio storico artistico ucraino (a cui - come raccontiamo su questo numero - sta lavorando anche l’Istituto nazionale di fisica nucleare italiano) ma significa anche non abbandonare quello russo, come scrivono ad apertura di questa storia di copertina lo slavista Lorenzo Pompeo, la docente di lingua e traduzione russa dell’Università per stranieri di Siena Giulia Marcucci e lo scrittore Paolo Nori che ha trasformato la minacciata censura delle sue lezioni su Dostoevskij alla Bicocca in un progetto da portare in giro per tutta l’Italia. I loro diversi punti di vista...
L'editoriale prosegue su Left dell'8-14 aprile 2022
Leggilo subito online o con la nostra App
[su_button url="https://left.it/prodotto/left-14-2022-8-aprile/" target="blank" background="#ec0e0e" size="7"]SCARICA LA COPIA DIGITALE[/su_button]
L’orrore compiuto a Bucha dalle truppe al comando di Putin è indicibile. È stato un eccidio di civili, con esecuzioni sommarie anche di anziani, donne e bambini. Di fronte alle immagini delle fosse comuni e dei cadaveri per strada c’è chi ha l’ardire di dubitare, negando questa agghiacciante realtà comprovata anche dalle immagini satellitari oltre che dalle testimonianze dei sopravvissuti. Torna alla mente Primo Levi quando diceva che non riusciva a parlare dell’Olocausto perché nessuno gli avrebbe creduto.
Mentre scriviamo dalla tv arrivano, violentissime, le parole del ministro degli Esteri russo Lavrov che parla di manichini, attori, sceneggiate. Come è possibile, ci chiediamo, che trasmettano questa criminale propaganda sulla tv pubblica italiana senza contraddittorio?
La verità atroce con cui dobbiamo tutti fare i conti è che truppe allo sbando in ritirata da Kiev o comandate dall’alto hanno commesso stragi sistematiche. Lo dicono i cadaveri ritrovati con le mani legate dietro la schiena, uccisi con colpi alla testa, non colpiti “per sbaglio” da un missile.
Ogni giorno si spalancano nuovi abissi di terrore. Non solo a Bucha ma anche a Irpin sarebbero state praticate torture di massa. E a Borodyanka ci potrebbero essere state più vittime civili che a Bucha. Arrivano notizie che parlano di stupri e atrocità di ogni genere con cui i soldati russi, le truppe cecene e i legionari della Wagner si sono accaniti sulle donne e sulla popolazione inerme, per distruggerne l’integrità psicofisica, arrivando poi a farne strage.
Conosciamo i crimini efferati e gratuiti che le truppe naziste in ritirata inflissero ai civili.
Ma guardando le immagini che arrivano da Bucha ci tornano alla mente anche i massacri compiuti nella ex Jugoslavia dai serbo bosniaci di Ratko Mladić, a cominciare da quello di Srebrenica.
E non sappiamo ancora quante persone sono state uccise a Mariupol, quasi rasa al suolo con la stessa tecnica a tenaglia che Putin aveva già usato ad Aleppo e a Grozny. Impossibile tacere. Non lo facemmo allora non lo facciamo oggi. Impossibile, da sinistra, non prendere posizione di fronte a questa atroce e insensata guerra in cui si fronteggiano un aggressore, la Russia di Putin e un aggredito, l’Ucraina di Zelensky, pur con tutti i difetti di una democrazia in fieri, con molte contraddizioni che non sono rappresentate solo dal battaglione Azov.
Fin dall’inizio di questa guerra nel nostro piccolo ci siamo schierati con nettezza per una proposta nonviolenta di risoluzione del conflitto, di costruzione della pace per via diplomatica, che non è stata ancora attuata con determinazione. Con dolore rileviamo che l’Europa non ha ancora esercitato quel ruolo che ci saremmo aspettati. Nata come sogno di pace, di costruzione democratica, inclusiva, basata sul rispetto dei diritti umani e sull’accoglienza, sta ancora mostrando troppo debolmente un volto democratico aprendo le porte ai profughi ucraini ma non facendo altrettanto con chi, di nazionalità diversa, fugge da questa o da altre guerre.
Cosa aspetta l’Unione europea a dare il via a una concreta iniziativa politica che porti a un cessate il fuoco e a una vera trattativa di pace? Perché in modo contraddittorio invia armi all’Ucraina ma poi continua di fatto a finanziare la guerra di Putin acquistando gas russo? Quante altre Bucha ci dovranno essere perché si decida per un embargo totale su gas e petrolio?
Invece di applicare sanzioni che ricadano in primis sullo zar e i suoi oligarchi, insensatamente, colpiamo il popolo russo isolandolo, mettendo al bando la sua straordinaria storia della letteratura e dell’arte, che innerva profondamente la cultura europea. Lavorare per un’Europa dei popoli e delle culture significa proteggere e preservare il patrimonio storico artistico ucraino (a cui – come raccontiamo su questo numero – sta lavorando anche l’Istituto nazionale di fisica nucleare italiano) ma significa anche non abbandonare quello russo, come scrivono ad apertura di questa storia di copertina lo slavista Lorenzo Pompeo, la docente di lingua e traduzione russa dell’Università per stranieri di Siena Giulia Marcucci e lo scrittore Paolo Nori che ha trasformato la minacciata censura delle sue lezioni su Dostoevskij alla Bicocca in un progetto da portare in giro per tutta l’Italia. I loro diversi punti di vista…
L’editoriale prosegue su Left dell’8-14 aprile 2022