Oggi, in Italia, c’è una parte dell’opinione pubblica che considera tutto quello che è russo - anche Brodskij, Dostoevskij, Tarkovskij - una cosa da evitare, della quale liberarsi

«La prima volta che mi hanno chiamato a parlare in televisione della guerra tra Russia e Ucraina, la prima cosa che ho detto è stata che non so niente di geopolitica, che mi occupo di una cosa meno importante, la letteratura. Uno degli ospiti in studio ha detto «No, be’, non è che sia meno importante», e quella è stata una delle pochissime volte, nella mia vita, che sono stato contento di essere contraddetto perché io, devo confessare, la penso proprio come quel signore lì.
Tanti anni fa ero a San Pietroburgo con un mio amico, passeggiavamo sul Litejnyj prospekt, siamo passati davanti alla sede del Kgb, il mio amico mi ha detto che c’era un funzionario del Kgb che aveva proposto di dichiarare quell’edificio monumento letterario. «Perché?», gli avevano chiesto, e lui aveva risposto «be’, son passati tutti di qui». Molti dei grandi scrittori russi del ventesimo secolo, Daniil Charms, Viktor Šklovskij, Iosif Mandel’štam, Anna Achmatova, Boris Pasternak, Michail Bulgakov, Iosif Brodskij, per esempio, hanno avuto a che fare, a Leningrado o a Mosca, col Kgb. In questo, il Novecento ha perpetuato la tradizione russa ottocentesca del potere costituito che, prima di tutto, ha paura della letteratura. Lev Trockij, in un saggio pubblicato nel 1923, scrive che…

*L’autore: Paolo Nori, scrittore e traduttore, è autore di saggi e romanzi. Tra i quali ricordiamo: Le cose non sono le cose, Bassotuba non c’è, Si chiama Francesca, questo romanzo, La grande Russia portatile. Tra le sue pubblicazioni più recenti, Sanguina ancora. L’incredibile vita di Fëdor M. Dostoevskij (Mondadori), finalista al Premio Campiello 2021. Una biografia sotto forma di romanzo che compone un ritratto inedito del romanziere e pensatore russo

L’articolo prosegue su Left dell’8-14 aprile 2022 

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