Cancellare un evento solo perché legato alla cultura russa significa cadere in una trappola pericolosa. Lungi dal prendere le distanze da Putin, in questo modo non si fa altro che imitare i suoi gesti ed alimentare la sua propaganda

«Abbiamo detto che la vita ci sottrae in continuazione possibilità e ci preclude mille strade. L’arte invece fa il contrario: apre vie, apre alternative. Ed è per questo che dobbiamo riconoscere che non è solo come “d’estate la limonata”, bensì l’aria stessa che respiriamo». Così Jurij Lotman conclude la seconda lezione del quarto ciclo intitolato «L’uomo e l’arte» (1990). L’arte apre vie, apre alternative. Eppure, la guerra di Putin si estende a macchia d’olio e invade ogni cosa, ogni campo, incluso quello della cultura e dell’informazione autentica, ostacolando così ulteriormente il cammino verso la pace. È di questi giorni la notizia della chiusura della testata Novaja gazeta, che aveva resistito 34 giorni dall’inizio dell’«operazione speciale». Altre testate indipendenti e storiche stazioni radio come Echo Moskvy (L’eco di Mosca) erano uscite di scena alla vigilia della repressione imposta dalla legge russa del 5 marzo, che prevede fino a quindici anni di carcere per chi diffonde notizie “false” sulla guerra in Ucraina (è sufficiente chiamare le cose con il loro nome – chiamare “guerra” la guerra, per esempio).

A prendere la parola per annunciare la decisione di chiudere le pubblicazioni è stato il caporedattore di Novaja gazeta Dmitrij Muratov, premio Nobel per la pace nel 2021. Al secondo ammonimento da parte del Roskomnadzor (il servizio federale per il controllo dei mezzi di comunicazione di massa), Muratov ha capito che..

 

* L’autrice: Giulia Marcucci è professoressa associata presso l’Università per stranieri di Siena, dove insegna Lingua e traduzione russa e dirige il Centro studi sulla traduzione (CeST)

L’articolo prosegue su Left dell’8-14 aprile 2022 

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