Anche la propaganda ha i suoi arsenali, che, come quelli militari, hanno bisogno di tempo per essere messi a punto. Cinquantuno giorni fa abbiamo assistito attoniti alla dichiarazione, in diretta tv, dell’invasione dell’Ucraina da parte delle forze armate russe. Fra le parole pronunciate da Putin in quella messinscena grottesca, parole quali «smilitarizzazione, neutralità, indipendenza delle repubbliche autonome», ce n’era (almeno) una che apparve subito, a chi vedeva e ascoltava quanto stava accadendo sotto i suoi occhi, decisamente incongrua, per non dire incredibile. «Denazificare l’Ucraina»: questo uno degli obiettivi del Cremlino. Che in Europa, in Russia e negli Usa, siano state ormai sdoganate forme, partiti e movimenti di chiara ispirazione fascista, non è un mistero per nessuno. E non suscita alcuna indignazione, anzi (le recentissime elezioni presidenziali in Francia, al di là della tenuta di Macron e dell’exploit della sinistra radicale, hanno assegnato il 30% dei suffragi a due partiti di estrema destra). Quindi, se nei fatti i (neo o post) fascisti e i (neo o post) nazisti ci sono, perché stupirsi di quella parola, «denazificazione»? Per due motivi. Innanzitutto perché sentirla pronunciare dal capo di una potenza mondiale per giustificare l’aggressione ad uno Stato sovrano, costringe ad un’operazione mentale che ha del pazzesco, cancella 80 anni di storia. Sembra di essere tornati negli anni Trenta. E non è vero. Non lo siamo. Le dinamiche e le motivazioni di questa guerra sono tutte profondamente radicate nel presente, rispondono ad equilibri geopolitici ed interessi economici di enorme portata, ma tutti legati al recente passato e soprattutto al prossimo futuro. L’altro motivo per cui quell’espressione suona indecente è la connivenza con quella stessa ideologia di chi le pronuncia e contro cui si vorrebbe ergere. Basti pensare a quanto l’imperialismo putiniano faccia uso di una massiccia retorica nazionalista, ispirata all’ideologo dell’euroasianesimo di Dugin. Siamo davanti a un doppio carpiato cognitivo che in un sol colpo vorrebbe farci credere che il XXI secolo non è mai cominciato e che i mercenari del gruppo Wagner sono antifascisti. Ma da qui in poi il doppio carpiato diventa triplo. Il 18 novembre 2021, appena tre mesi prima dell’invasione, la Terza commissione Onu ha approvato una risoluzione il cui testo recita: «Combattere la glorificazione del nazismo, neonazismo e altre pratiche che contribuiscono ad alimentare le contemporanee forme di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e relativa intolleranza». Gli unici Paesi che hanno votato contro sono stati l’Ucraina e gli Usa. La mozione, proposta allora dalla Russia, aveva lo scopo di cominciare a contarsi? E l’essere o non essere nazisti è diventato un dettaglio, una parola vuota, un metro qualsiasi per decidere chi sta con chi? Ma soprattutto, con l’inizio della guerra d’aggressione voluta da Putin, è cominciato un martellamento mediatico volto ad equiparare i resistenti ucraini ai partigiani italiani, “dimenticando” che la lotta di liberazione italiana, ed europea, fu antifascista e antinazista. Non c’è bisogno di trasfigurare un Paese aggredito per giustificare il suo diritto alla resistenza. Perché farlo? Perché assimilare le forze armate ucraine, e i volontari che con loro combattono, alle formazioni partigiane che, sotto la guida del Comitato di liberazione dell’alta Italia, il 25 aprile del 1945 proclamarono l’insurrezione in tutti i territori ancora occupati dai nazifascisti? Se lo si fa, e lo si sta facendo, il carpiato cognitivo diventa quadruplo, quintuplo. Solo qualche nota: il 20 dicembre del 2018 la Rada ucraina votò, a larga maggioranza, una risoluzione che contiene le seguenti parole: «Stepan Bandera fu una figura di rilievo e un teorico del movimento di liberazione nazionale dell’Ucraina». Questa risoluzione istituisce l’1 gennaio, giorno della nascita di Bandera, quale festa nazionale. Piazze, monumenti e strade di Leopoli, Kiev, Kharkiv sono intitolate al fondatore dell’Oun, un partito nazionalista e fascista fondato a Vienna alla fine degli anni Venti, che collaborò con la Germania nazista durante l’avvio dell’invasione dell’Urss, nei primi anni 40. Quando le truppe sovietiche si ritirarono da Leopoli, annunciò la creazione di uno Stato ucraino indipendente e dichiarò di voler sostenere i piani espansionistici nazisti, giurando fedeltà a Hitler. Altra nota: il 7 aprile scorso, il presidente Zelensky è apparso in videoconferenza col Parlamento di Atene, accompagnato da due soldati del reggimento Azov; questo fatto, che ha dell’incredibile, ha suscitato un’ondata di indignazione fra i parlamentari elleni (sono usciti dall’aula parte dei deputati di Syriza, tutto il Kke e il deputato Yanis Varoufakis, leader di Diem 25). E tuttavia, sarebbe folle affermare che il governo ucraino (e ancora meno lo Stato, e meno ancora il popolo) sia nazista. Folle e falso. Altrettanto folle e falso è equiparare il governo nazionalista di Putin al regime nazionalsocialista tedesco degli anni 30, e fare di Putin un novello Hitler. Sul breve periodo questa operazione mediatica, e politica, serve a giustificare la decisione di appoggiare le forze armate ucraine (ma di nuovo, che bisogno c’è di giustificare con un surplus ideologico e mistificante, il diritto alla resistenza di un popolo aggredito?). Sul medio periodo invece temo che questo corto circuito storico e cognitivo possa servire a ridimensionare, normalizzare il nazifascismo, per quello che realmente è stato. E relegare in una vecchia soffitta le idee e le vite date per combatterlo. Da questa guerra se ne potrà uscire solo con una pace negoziata. Difficile, impervia, in opposizione a tutti i protagonisti, grandi e piccoli, di questa tragedia. Ma pace. Pace e antifascismo.
L'articolo prosegue su Left del 15-21 aprile 2022 
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Anche la propaganda ha i suoi arsenali, che, come quelli militari, hanno bisogno di tempo per essere messi a punto.
Cinquantuno giorni fa abbiamo assistito attoniti alla dichiarazione, in diretta tv, dell’invasione dell’Ucraina da parte delle forze armate russe. Fra le parole pronunciate da Putin in quella messinscena grottesca, parole quali «smilitarizzazione, neutralità, indipendenza delle repubbliche autonome», ce n’era (almeno) una che apparve subito, a chi vedeva e ascoltava quanto stava accadendo sotto i suoi occhi, decisamente incongrua, per non dire incredibile.

«Denazificare l’Ucraina»: questo uno degli obiettivi del Cremlino. Che in Europa, in Russia e negli Usa, siano state ormai sdoganate forme, partiti e movimenti di chiara ispirazione fascista, non è un mistero per nessuno. E non suscita alcuna indignazione, anzi (le recentissime elezioni presidenziali in Francia, al di là della tenuta di Macron e dell’exploit della sinistra radicale, hanno assegnato il 30% dei suffragi a due partiti di estrema destra).

Quindi, se nei fatti i (neo o post) fascisti e i (neo o post) nazisti ci sono, perché stupirsi di quella parola, «denazificazione»? Per due motivi. Innanzitutto perché sentirla pronunciare dal capo di una potenza mondiale per giustificare l’aggressione ad uno Stato sovrano, costringe ad un’operazione mentale che ha del pazzesco, cancella 80 anni di storia. Sembra di essere tornati negli anni Trenta. E non è vero. Non lo siamo. Le dinamiche e le motivazioni di questa guerra sono tutte profondamente radicate nel presente, rispondono ad equilibri geopolitici ed interessi economici di enorme portata, ma tutti legati al recente passato e soprattutto al prossimo futuro.

L’altro motivo per cui quell’espressione suona indecente è la connivenza con quella stessa ideologia di chi le pronuncia e contro cui si vorrebbe ergere. Basti pensare a quanto l’imperialismo putiniano faccia uso di una massiccia retorica nazionalista, ispirata all’ideologo dell’euroasianesimo di Dugin. Siamo davanti a un doppio carpiato cognitivo che in un sol colpo vorrebbe farci credere che il XXI secolo non è mai cominciato e che i mercenari del gruppo Wagner sono antifascisti.

Ma da qui in poi il doppio carpiato diventa triplo. Il 18 novembre 2021, appena tre mesi prima dell’invasione, la Terza commissione Onu ha approvato una risoluzione il cui testo recita: «Combattere la glorificazione del nazismo, neonazismo e altre pratiche che contribuiscono ad alimentare le contemporanee forme di razzismo, discriminazione razziale, xenofobia e relativa intolleranza». Gli unici Paesi che hanno votato contro sono stati l’Ucraina e gli Usa. La mozione, proposta allora dalla Russia, aveva lo scopo di cominciare a contarsi? E l’essere o non essere nazisti è diventato un dettaglio, una parola vuota, un metro qualsiasi per decidere chi sta con chi? Ma soprattutto, con l’inizio della guerra d’aggressione voluta da Putin, è cominciato un martellamento mediatico volto ad equiparare i resistenti ucraini ai partigiani italiani, “dimenticando” che la lotta di liberazione italiana, ed europea, fu antifascista e antinazista.

Non c’è bisogno di trasfigurare un Paese aggredito per giustificare il suo diritto alla resistenza. Perché farlo? Perché assimilare le forze armate ucraine, e i volontari che con loro combattono, alle formazioni partigiane che, sotto la guida del Comitato di liberazione dell’alta Italia, il 25 aprile del 1945 proclamarono l’insurrezione in tutti i territori ancora occupati dai nazifascisti? Se lo si fa, e lo si sta facendo, il carpiato cognitivo diventa quadruplo, quintuplo. Solo qualche nota: il 20 dicembre del 2018 la Rada ucraina votò, a larga maggioranza, una risoluzione che contiene le seguenti parole: «Stepan Bandera fu una figura di rilievo e un teorico del movimento di liberazione nazionale dell’Ucraina». Questa risoluzione istituisce l’1 gennaio, giorno della nascita di Bandera, quale festa nazionale. Piazze, monumenti e strade di Leopoli, Kiev, Kharkiv sono intitolate al fondatore dell’Oun, un partito nazionalista e fascista fondato a Vienna alla fine degli anni Venti, che collaborò con la Germania nazista durante l’avvio dell’invasione dell’Urss, nei primi anni 40.

Quando le truppe sovietiche si ritirarono da Leopoli, annunciò la creazione di uno Stato ucraino indipendente e dichiarò di voler sostenere i piani espansionistici nazisti, giurando fedeltà a Hitler. Altra nota: il 7 aprile scorso, il presidente Zelensky è apparso in videoconferenza col Parlamento di Atene, accompagnato da due soldati del reggimento Azov; questo fatto, che ha dell’incredibile, ha suscitato un’ondata di indignazione fra i parlamentari elleni (sono usciti dall’aula parte dei deputati di Syriza, tutto il Kke e il deputato Yanis Varoufakis, leader di Diem 25).

E tuttavia, sarebbe folle affermare che il governo ucraino (e ancora meno lo Stato, e meno ancora il popolo) sia nazista. Folle e falso. Altrettanto folle e falso è equiparare il governo nazionalista di Putin al regime nazionalsocialista tedesco degli anni 30, e fare di Putin un novello Hitler. Sul breve periodo questa operazione mediatica, e politica, serve a giustificare la decisione di appoggiare le forze armate ucraine (ma di nuovo, che bisogno c’è di giustificare con un surplus ideologico e mistificante, il diritto alla resistenza di un popolo aggredito?).

Sul medio periodo invece temo che questo corto circuito storico e cognitivo possa servire a ridimensionare, normalizzare il nazifascismo, per quello che realmente è stato. E relegare in una vecchia soffitta le idee e le vite date per combatterlo. Da questa guerra se ne potrà uscire solo con una pace negoziata. Difficile, impervia, in opposizione a tutti i protagonisti, grandi e piccoli, di questa tragedia. Ma pace. Pace e antifascismo.

L’articolo prosegue su Left del 15-21 aprile 2022 

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