Perdersi nella sterminata biblioteca del grande intellettuale e critico letterario, alla scoperta degli autori del Novecento che gli dedicarono le proprie opere. Fino al 30 giugno a Urbino, la mostra "Carlo Bo. Gli anni dal 1911 al 1951. La letteratura, le città, la vita"

Urbino questa mattina mi appare vuota e ventosa mentre cammino veloce, stretto nel mio giaccone, mi vengono incontro rari studenti assonnati, qualche svogliato passante, il commesso della Libreria moderna universitaria sta sistemando sugli scaffali all’aperto le pile dei volumi in offerta.
Quando arrivo davanti al Palazzo Passionei Paciotti dove si trova la Fondazione Carlo e Marise Bo, e subito dopo nell’ufficio al pianterreno che sta di lato al cortile, mi sta già aspettando la bibliotecaria Elena Baldoni, capelli neri lisci e uno sguardo intenso esaltato negli occhi scuri dal bianco della mascherina. Ha già preparato nella sala attigua i volumi che le avevo chiesto al telefono di poter consultare, me li porge con fare delicato, posandoli sopra un tavolo. Sono solo alcuni dei 100mila testi conservati nella Biblioteca, 6mila dei quali con le dediche dei più importanti scrittori del Novecento, non solo italiani, desiderosi di essere letti dal più importante e longevo critico letterario del secolo, ispanista e francesista raffinatissimo, una specie di icona intellettuale e monumento vivente morto nel 2001 a Genova, nella sua Liguria, all’età di novant’anni.

Spaginandoli, provo un po’ di intimorito rispetto per queste copertine e i dorsi, le pagine ingiallite, un senso di rimorso per quella che era la Letteratura, fa un certo effetto trovarsi di fronte la prima edizione de La meglio gioventù di Pier Paolo Pasolini, una reliquia che oggi si definirebbe volgarmente vintage, con la dedica autografa scritta con la stilografica: «A Carlo Bo, il suo affezionato (anche se non corrisposto)»; o il volume dei Supercoralli Einaudi di Corporale dove Paolo Volponi apposta sul frontespizio quella affettuosa: «A Carlo Bo, che ha un posto in Urbino (anche nel cuore di tutti gli urbinati) dove potrà e meriterà di salvarsi». Oppure quella di Franco Fortini in Sere in Valdossola, scrittore che non era nelle corde dello studioso al quale ispirò il celebre epigramma, il più breve di tutta la nostra letteratura: «Bo [titolo] / No [testo]». Tutto era nato da un saggio del 1949, I pericoli della letteratura, dove il critico individuava nella politica un elemento che ostacolava la libertà espressiva della poesia, biasimato dal giovane scrittore fiorentino. È passato del tempo ma la vis dialettica è ancora presente: «Al Carlo Bo di oggi, dal Fortini di allora», scrive venticinque anni dopo. Colpisce anche la dedica sul libro di Paul Eluard dedicato a Pablo Picasso, con la…

L’articolo prosegue su Left del 15-21 aprile 2022 

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