Helga Di Giuseppe e Marco Di Branco nel libro "Pompei. La catastrofe” aprono una riflessione su come la logica manageriale di gestione degli scavi finisca col prevalere sullo studio, sulla ricerca e sulle competenze scientifiche. Un trend per i beni culturali italiani ormai da molti anni
Da diversi anni scrivere di Pompei è divenuta una operazione consueta. Raccontare la città antica sì è trasformata in un passaggio, quasi, obbligato. A prescindere dal ruolo. Dalla professione. Studioso, oppure cultore della materia. Giornalista, oppure scrittore. Poco importa. Quel che conta è che siano testi divulgativi. Che possano raggiungere il maggior numero possibile di persone. E riescano ad attirare la loro attenzione.
Rievocando l’eruzione del 79 d. C., ma soprattutto soffermandosi sulla “meraviglia” delle scoperte.
Il minimun comun denominatore di prodotti editoriali tanto eterogenei? La celebrazione del sito archeologico. La sua rinascita, presunta. Descritta con toni epici. Frequentemente, ammantando di verità delle ipotesi. Insomma, mettendo sostanzialmente al bando i dati. Le analisi. La ricerca.
Forse anche per questo…
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