Settantasette anni fa i partigiani entravano vittoriosi a Milano, capitale dell’Alta Italia come allora si diceva, liberando il Centro-Nord dall’occupazione tedesca e riunendo il Paese rimasto diviso lungo un confine mobile, progressivamente spinto a settentrione dall’avanzata degli Alleati. La resistenza al nazifascismo, dopo venti durissimi mesi, aveva infine trionfato. Per fissare la data di inizio di questa guerra di liberazione gli storici hanno scelto l’8 settembre 1943, il giorno in cui il maresciallo Pietro Badoglio, assunto su incarico del re la guida del governo dopo l’esautorazione di Mussolini, annuncia l’armistizio raggiunto nei giorni precedenti con gli anglo-americani.
A quella data i tedeschi, dopo aver abbandonato la Sicilia in seguito allo sbarco alleato del 9 luglio, sono già in ritirata per attestarsi, in ottobre, a nord di una linea difensiva che taglia in due la penisola dal Tirreno all’Adriatico. La linea Gustav, estendendosi dalla foce del Garigliano alla città di Ortona, risparmia dall’occupazione nazista buona parte del territorio meridionale. Questa la ragione per cui si è soliti pensare alla Resistenza come a un evento storico che ha interessato pressoché esclusivamente l’Italia del Centro-Nord.
Tuttavia, nelle poche settimane durante le quali, dopo l’8 settembre, l’esercito tedesco si accampò sul territorio meridionale non mancarono gli episodi di aperto contrasto all’ex alleato da parte della popolazione civile. L’episodio certamente più noto è quello delle Quattro giornate di Napoli, troppo spesso e riduttivamente rappresentato come un moto di spontanea ribellione.
In realtà dal 28 settembre al primo ottobre 1943 fu tutt’altro che marginale il ruolo svolto da alcuni ufficiali dell’esercito italiano come il capitano Enzo Stimolo; inoltre quella rivolta aveva avuto una lunga incubazione e traeva origine dall’esistenza nella capitale del Mezzogiorno di una rete di migliaia di iscritti alle principali formazioni antifasciste clandestine, prime fra tutte quelle del Partito comunista e del Partito d’Azione. Ancor prima e senza pretesa di esaurire il novero delle rivolte meridionali, il 21 settembre era insorta Matera dove si conteranno ventisei vittime, e Maschito, in provincia di Potenza, può vantare addirittura la nascita, il 15 settembre, di una delle prime repubbliche partigiane.
L’armistizio, con la conseguente resa incondizionata dell’Italia, venne reso noto l’8 settembre ma era stato siglato cinque giorni prima, fra il generale Castellano e il suo omologo statunitense Bedell Smith, a Cassibile, una frazione di Siracusa. Ecco perché i tedeschi, in ritirata e al corrente delle manovre italiane, il 6 settembre cannoneggiano Rizziconi, un piccolo centro agricolo nella pianura di Gioia Tauro, provocando 17 morti e 56 feriti fra la popolazione civile. Non lontano da lì, a Taurianova, il 25 agosto, legato a un albero di ulivo, con l’accusa di aver sabotato le linee del telegrafo tedesco, era stato fucilato al petto il socialista libertario Cipriano Scarfò.
È il primo partigiano a pagare con la vita un atto di deliberata resistenza ai nazisti. Al di là della linea Gustav, in territorio abruzzese si organizzano le prime bande. Sono circa mille e seicento gli uomini, per lo più soldati sbandati, che si raccolgono a Bosco Martese nel Teramano mentre sulle pendici del Gran Sasso e della Maiella si stabiliscono gruppi di giovanissimi studenti medi affiancati dai loro insegnanti. Nel Chietino la rivolta partigiana è guidata dal maggiore siciliano Salvatore Cutelli, giustiziato dai tedeschi insieme a nove dei suoi uomini il 14 dicembre a Bussi sul Tirino, in provincia di Pescara.
Alla Resistenza nel Mezzogiorno bisogna affiancare la Resistenza che i meridionali svilupparono insieme agli italiani di altre regioni nel resto della penisola. Nella capitale, tra gli antifascisti che combattono per impedire l’avanzata tedesca lungo la via Ostiense, spicca la figura del “gobbo del Quarticciolo”, il calabrese Giuseppe Albano, immortalato nel 1960 dalla pellicola di Carlo Lizzani. Dovunque, nell’Italia rimasta occupata dall’esercito tedesco assistito dal governo fascista di Salò, si trovano meridionali fra le file dei resistenti.
Non si tratta, come vuole una certa storiografia, di militari rimasti intrappolati a nord dopo l’armistizio e quasi costretti ad abbracciare la Resistenza per l’impossibilità di rientrare nelle regioni di origine. Non solo tra i resistenti meridionali nel Nord Italia si trovano operai, impiegati e studenti emigrati prima dello scoppio della guerra, ma c’è anche chi si è portato in quelle regioni proprio per avviare la lotta armata contro il nemico nazifascista. Un caso esemplare è quello del calabrese Dante Castellucci la cui vicenda, inizialmente legata a quelli dei fratelli Cervi in Emilia, si concluderà tragicamente in Lunigiana alla testa del battaglione “Picelli” con il nome di battaglia Facio.
Solo nel 2013 una ricerca condotta dall’Istoreto, l’Istituto storico per la storia della Resistenza di Torino, su impulso della presidenza del Consiglio regionale del Piemonte, ha stabilito, pur limitando l’analisi ai combattenti delle sei regioni più a sud (Sicilia, Calabria, Basilicata, Campania, Puglia e Sardegna), in oltre seimila i meridionali presenti fra le file della Resistenza. Tra questi uomini si trova il siciliano Pompeo Colajanni che, con il nome di Barbato, è tra i primi ufficiali del vecchio esercito sabaudo a portarsi sulle montagne della Valle Po dove costituirà la brigata garibaldina “Pisacane” e sarà, poi, protagonista della liberazione di Torino. Meno fortunata la vicenda di altri audaci partigiani meridionali che perderanno la vita durante la guerra di Liberazione, il siciliano Giacomo di Crollalanza (comandante Pablo) e il pugliese Antonio Gigante, tra i primi organizzatori della Resistenza nel Parmense e a Trieste, rispettivamente.
Alcuni partigiani meridionali, si pensi ad esempio al calabrese Giulio Nicoletta che aveva guidato le formazioni in Val Sangone, non torneranno al termine della guerra nelle regioni di origine, dove non avrebbero ottenuto il riconoscimento che ebbero nei luoghi dell’esperienza militante. Anche questo fatto, tra gli altri, può ben spiegare perché ancor oggi molti di loro siano ignoti ai corregionali e perché si faccia fatica a comprendere il ruolo, non certo comprimario, che essi svolsero nella guerra di Liberazione.
Nella foto: murale a Napoli di Salvatore Iodice che raffigura Gennaro Capuozzo, lo scugnizzo protagonista della Resistenza napoletana e che venne rappresentato nel film di Nanni Loy “Le quattro giornate di Napoli”