«I curdi non hanno amici se non le montagne». Questo vecchio proverbio scatta una fotografia forse più efficace di tante analisi sulla storia e sul destino di un popolo per lo più ignorato da un mondo distratto e occupato com’è da tutt’altre vicende. Ecco (anche) perché tiranni come Recep Tayyip Erdoğan si prendono ancora la libertà, per esempio, e soltanto qualche giorno fa, di lanciare indisturbati una nuova offensiva militare nel Kurdistan, a nord dell’Iraq e vicino al confine con la Turchia, nel cuore del Pkk, il Partito dei lavoratori, per colpire le basi curde e sempre con una scusa: stavolta un presunto piano militare “su larga scala” da parte dei guerriglieri. Una “Minority report” tutta turca, dunque, per giustificare l’ingiustificabile. E per far alzare in volo aerei ed elicotteri di notte, coadiuvati dagli ormai celebri droni Bayraktar (fondamentali nella difesa degli ucraini contro l’avanzata russa) nelle regione di Zap, Metina e Avasin Basyan distruggendo, secondo il racconto di Ankara, depositi di armi e munizioni, rifugi e basi strategiche del nemico. Ma per quanto si sforzino i visir di Erdoğan di precisare che l’operazione – un nuovo livello dei “giochi” di guerra contro il Pkk, lo ricordiamo considerato alla stregua di un’organizzazione terroristica, iniziati nel 2020 e denominati “artiglio” – sia stata decisa soltanto per colpire i terroristi, appunto, e che terrà ben in conto l’integrità dell’Iraq, l’incidente diplomatico è aperto.
«Consideriamo queste…
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