Da un mese è in corso una preoccupante escalation degli scontri a Gerusalemme e a Gaza. Cesserà mai il conflitto con Israele? Ne parliamo con uno tra gli autori più originali della poesia palestinese. «Non serve andare ad Harvard per imparare che siamo tutti uguali - dice -, tutti abbiamo una naturale predisposizione al rifiuto delle ingiustizie»

Najwan Darwish, classe 1978, nasce a Gerusalemme e ad oggi è considerato uno dei più importanti poeti arabi contemporanei. Dalla pubblicazione della sua prima raccolta nel 2000, la sua poesia è stata acclamata a livello internazionale come una straordinaria espressione della lotta palestinese. Pubblicato in Italia per Il ponte del sale edizioni, Più nulla da perdere è il primo libro tradotto in italiano del poeta palestinese.
La traduzione dall’arabo è a cura di Simone Sibilio, professore di lingua e letteratura araba all’Università Ca’ Foscari di Venezia, anche lui poeta. Lo stesso Najwan ritiene fondamentale e prezioso il lavoro di Sibilio, capace di trasformare il linguaggio mantenendo intatto l’intero corpo delle sue poesie.
L’autore con i suoi scritti rompe i confini nazionali e ridisegna la propria identità, affermando di fare parte di ogni umanità maltrattata, dal popolo curdo a quello iracheno, dall’ebreo espulso da al-Andalus all’armeno «incredulo alle lacrime sotto le palpebre della Storia». Spesso definito da critici letterari “poeta internazionalista”, Najwan mette in discussione il concetto stesso di “nazionale” o “internazionale”.

Può approfondire per i lettori di Left la sua riflessione sul concetto di identità nazionale ?
Credo che il concetto di nazionale e internazionale siano tematiche che appartengono a secoli passati. L’identità nazionale è un’invenzione, creata ad hoc per controllare le popolazioni. Attraverso la narrazione, nello specifico quella dell’identità nazionale, si costruiscono tratti che ti differenziano da un’altra nazione ed è su quello si esercita il potere del controllo e dell’appartenenza nazionale. La poesia in tal senso ci aiuta poiché è liberazione per sua definizione. Un poema è liberazione che tu lo legga o lo scriva. Questo è il modo che hanno gli esseri umani di liberarsi dalla pressione sociale, politica, economica, dalle catene della società.

Quanto ha influito sul suo avvicinamento alla poesia il nascere e crescere in una città come Gerusalemme, sotto occupazione militare?
Ricordo di quando ero piccolo, avrò avuto dodici o tredici anni, e mi trovavo in uno di questi campi estivi con altri studenti francesi. Alla fine della gita nei luoghi sacri di Gerusalemme, si era organizzato un incontro tra studenti palestinesi e francesi. Uno dei professori parlava di come il colonialismo era necessario e…

L’intervista prosegue su Left del 29 aprile 2022 

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