Portano la scuola direttamente a casa delle ragazze a cui è stato impedito di studiare. Organizzano assistenza sanitaria e aiuti alimentari. è la resistenza continua e clandestina delle attiviste della rete Rawa. Il racconto di Maryam Rawi, una di loro

Sono già passati più di 250 giorni dalla fine repentina della ventennale occupazione statunitense e delle forze Nato. I tempi della “fuga” occidentale sono lontani tuttavia in Afghanistan una importante fetta di società civile seppur abbandonata a se stessa non intende rassegnarsi all’oscurantismo talebano e lotta ogni giorno per la dignità e la libertà. Protagoniste, come spesso accade in questi casi sono le donne, e quelle afgane non fanno eccezione. Ecco il racconto di una di loro, Maryam Rawi, attivista di Rawa (Associazione rivoluzionaria delle donne afgane). Le abbiamo rivolto alcune domande mentre si trovava in un luogo protetto.

Maryam Rawi, dopo l’inverno qual è la situazione umanitaria del Paese?
Negli ultimi otto mesi, le agenzie umanitarie e le ong che lavoravano da noi hanno chiuso quasi tutte le loro sedi. Quelle che ancora restano attive hanno dovuto mandare in congedo soprattutto le donne che ci aiutavano. Ma in questo momento è necessaria una grande assistenza umanitaria a causa della pessima situazione economica in cui si trova l’Afghanistan. E i programmi di aiuto sono insufficienti e non raggiungono molte zone del Paese. Il caos non è solo politico ma soprattutto finanziario e sotto il profilo umanitario.

Nel silenzio calato sull’Afghanistan giungono notizie di una repressione sistematica soprattutto delle donne. Cosa accade concretamente?
Già prima del ritorno dei talebani la vita delle donne non…

L’intervista prosegue su Left del 29 aprile 2022 

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