Quando Amina poteva ancora mangiare tutti i giorni, il suo piatto preferito era pollo e makhlouta. Una sorta di brodo con verdure tipico di al-Ḥudayda o, come la conosciamo noi, Hodeidah. Affacciata sul Mar Rosso, famosa per le sue perle, il caffè e il commercio del pesce, è la quarta città di quello splendido Yemen devastato da una guerra che dura da quasi otto anni di cui nessuno o quasi parla e pochi, soprattutto, conoscono la storia. Probabilmente nemmeno dove stia, mulinando sul mappamondo. «Facciamo un esperimento? Chiediamo per esempio ai nostri parlamentari. Ci sarebbe da ridere. Se non da piangere», ci dice senza perifrasi Cornelia Isabelle Toelgyes, vice-direttrice di Africa express, che per lunghi anni ha vissuto nel grande continente ed è oggi consulente di diverse organizzazioni che si occupano anche di quest’ultimo pezzo di Penisola araba. Martoriato, omesso dalle memorie, tanto conteso e forse secondo alcuni osservatori mai amato davvero dai suoi leader. «Dove la gente non ha più nemmeno la sabbia da mangiare, e gli aiuti arrivano col contagocce. Quando arrivano», precisa, dolorosamente, Toelgyes. Invano, la piccola Amina, che oggi ha 12 anni, sollecitata dai responsabili di una missione del Wfp, il World food programme, organismo delle Nazioni Unite che si occupa dell’emergenza fame, tentò un paio di anni fa di lanciare un appello al mondo con una lettera. «Mi ricordo quando andavo a scuola, poi però è arrivata la guerra. Io avevo sette anni e i bombardamenti non finivano mai – si legge -. Qualche volta ho fame, ma so che devo aspettare. Però la cosa che mi preoccupa di più è che la guerra potrebbe continuare all’infinito…».
Sfollata con la sua famiglia in un campo profughi di Aden, nell’omonimo Golfo, Amina forse ancora sogna di…
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