Se il dibattito italiano non fosse incagliato nella risibile discussione sui pacifisti che qui da noi sono diventati uno dei punti principali della discussione, (come se non ci fosse una guerra alle porte, una crisi energetica per i prossimi mesi (anni?) e una crisi umanitaria in alcune zone del mondo a causa della levitazione dei prezzi del cibo) potremmo serenamente riconoscere che la maggiore distinzione politica tra coloro che dibattono (e votano) su questa guerra consiste tra chi la guerra la vuole fare smettere e chi la guerra la vuole "portare fino in fondo". Non è una differenza da poco. Chi vuole la fine della guerra sa benissimo, come in tutte le guerre, che bisogna parlare anche con l'invasore (quello che prova a fare Macron) per capire quali siano gli spazi di manovra, consapevole che lo spostamento del conflitto dal campo bellico a quello politico comporta l'inasprimento delle sanzioni per mettere all'angolo Putin e una cauta valutazione delle vie d'uscita: cosa è disposto a cedere l'uno, cosa è disposto a volere l'altro. Chi invece vuole che la guerra "vada fino in fondo" dice senza avere il coraggio di dirlo che il conflitto in Ucraina deve essere l'occasione per sconfiggere totalmente Putin. Ovvero vuole l'eliminazione politica (ma anche fisica a molti andrebbe bene, c'è da scommetterci) del presidente russo. È sostanzialmente la posizione di Biden e dei più esagitati membri del Partito Unico Bellicista. Resta da capire quale sarebbe, secondo loro, la "vittoria" accettabile: avere i confini dell'Ucraina com'era prima dell'invasione? Ottenere i confini prima del 2014? Fare cadere il governo russo (e quindi intervenire con la forza nell'autodeterminazione di una nazione, come va di moda dire in queste settimane)? Non è uno scarto da poco. Tutte e due le posizioni sono legittime ma bisognerebbe avere il coraggio (e il senso di responsabilità) di dichiararle pubblicamente. Anche perché nel primo caso il conflitto è da sostenere per evitare l'eccidio e la distruzione di un Paese mentre nel secondo è un incendio da alimentare per scardinare la Russia. Cambiano completamente le regole di ingaggio e le responsabilità politiche, oltreché belliche. Resta il dubbio che prendersela con i pacifisti (tra l'altro con l'ignoranza di chi crede che la pace sia il contrario della guerra) serva anche a non dirimere questa differenza tra gli interventisti. La domanda è semplice: siete a favore della guerra, benissimo, ma di quale guerra? Buon giovedì.  

Se il dibattito italiano non fosse incagliato nella risibile discussione sui pacifisti che qui da noi sono diventati uno dei punti principali della discussione, (come se non ci fosse una guerra alle porte, una crisi energetica per i prossimi mesi (anni?) e una crisi umanitaria in alcune zone del mondo a causa della levitazione dei prezzi del cibo) potremmo serenamente riconoscere che la maggiore distinzione politica tra coloro che dibattono (e votano) su questa guerra consiste tra chi la guerra la vuole fare smettere e chi la guerra la vuole “portare fino in fondo”.

Non è una differenza da poco. Chi vuole la fine della guerra sa benissimo, come in tutte le guerre, che bisogna parlare anche con l’invasore (quello che prova a fare Macron) per capire quali siano gli spazi di manovra, consapevole che lo spostamento del conflitto dal campo bellico a quello politico comporta l’inasprimento delle sanzioni per mettere all’angolo Putin e una cauta valutazione delle vie d’uscita: cosa è disposto a cedere l’uno, cosa è disposto a volere l’altro.

Chi invece vuole che la guerra “vada fino in fondo” dice senza avere il coraggio di dirlo che il conflitto in Ucraina deve essere l’occasione per sconfiggere totalmente Putin. Ovvero vuole l’eliminazione politica (ma anche fisica a molti andrebbe bene, c’è da scommetterci) del presidente russo. È sostanzialmente la posizione di Biden e dei più esagitati membri del Partito Unico Bellicista. Resta da capire quale sarebbe, secondo loro, la “vittoria” accettabile: avere i confini dell’Ucraina com’era prima dell’invasione? Ottenere i confini prima del 2014? Fare cadere il governo russo (e quindi intervenire con la forza nell’autodeterminazione di una nazione, come va di moda dire in queste settimane)?

Non è uno scarto da poco. Tutte e due le posizioni sono legittime ma bisognerebbe avere il coraggio (e il senso di responsabilità) di dichiararle pubblicamente. Anche perché nel primo caso il conflitto è da sostenere per evitare l’eccidio e la distruzione di un Paese mentre nel secondo è un incendio da alimentare per scardinare la Russia. Cambiano completamente le regole di ingaggio e le responsabilità politiche, oltreché belliche.

Resta il dubbio che prendersela con i pacifisti (tra l’altro con l’ignoranza di chi crede che la pace sia il contrario della guerra) serva anche a non dirimere questa differenza tra gli interventisti. La domanda è semplice: siete a favore della guerra, benissimo, ma di quale guerra?

Buon giovedì.

 

Autore, attore, scrittore, politicamente attivo. Racconto storie, sul palcoscenico, su carte e su schermo e cerco di tenere allenato il muscolo della curiosità. Quando alcuni mafiosi mi hanno dato dello “scassaminchia” ho deciso di aggiungerlo alle referenze.