Le sanzioni europee alla Russia ancora non sono riuscite a costringere Putin a sedersi al tavolo delle trattative. Ora, però, le nuove misure che riguardano l’importazione di petrolio potrebbero portare ad una svolta. Ne parliamo con Matteo Villa dell’Ispi

Finora l’Unione europea ha puntato con decisione su un’unica strategia per entrare “direttamente” in conflitto con la Russia, e forzare Putin a sedersi al tavolo delle trattative. Quella della guerra economica. Cinque pacchetti di sanzioni sono già stati varati dall’Ue, mentre si sta lavorando al sesto, quello che riguarderebbe il petrolio russo. L’ipotesi è che si parta con un embargo graduale per arrivare ad uno stop totale nel 2023. Ma che tipo di provvedimenti sono stati presi sinora? Quanto sono stati davvero efficaci? Quali altre sanzioni potremmo applicare per fare pressione su Mosca, nella prospettiva di danneggiare maggiormente l’economia russa rispetto alla nostra? Ne parliamo con Matteo Villa, research fellow dell’Istituto per gli studi di politica internazionale (Ispi) per il Programma migrazioni e per l’Osservatorio Europa e governance globale.

«Il provvedimento economico più “forte” nei confronti di Mosca che finora è stato applicato è il congelamento delle riserve valutarie della Banca centrale russa, compiuto da Europa e Stati Uniti – spiega Villa -. Si tratta di una misura che potenzialmente potrebbe far vacillare la supremazia del dollaro e dell’euro sugli scambi internazionali, dunque relativamente pericolosa, ciò nonostante l’abbiamo presa senza colpo ferire. E questo ci restituisce quanto abbiamo percepito come grave l’invasione dell’Ucraina, lo sfregio al diritto internazionale e anche la minaccia alla nostra sicurezza».

Il secondo grande “fronte” …

L’articolo prosegue su Left del 6 maggio 2022 

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