«Dovremmo fare di tutto per non abbandonare la Russia che è parte integrante della civiltà europea a una frattura senza ritorno» dice l'ex deputato e membro della direzione nazionale Pd. «L’escalation del Cremlino - aggiunge - si sarebbe potuta evitare»

Cuperlo, partiamo subito dalle note dolenti: l’Unione europea, come istituzione, è la grande assente di questa crisi. Cosa potrebbe fare secondo lei per avere un ruolo di primo piano nella risoluzione della guerra in Ucraina? Perché, finora, non ha spinto per il cessate il fuoco proponendosi come mediatore?
L’Europa ha assunto una posizione chiara dal primo momento, all’indomani del 24 febbraio, con una condanna che si è tradotta in un ventaglio di misure: sanzioni pesanti nei confronti di Mosca, sostegno e aiuti umanitari al Paese aggredito, accoglienza dei profughi e un sostegno militare alla resistenza del governo e del popolo ucraino. Questa reazione non era quella che Mosca si attendeva anche alla luce dei precedenti: il 2008 in Georgia, il 2014 in Ucraina con l’annessione della Crimea, ma soprattutto quella fuga da Kabul un anno fa che agli occhi di molti è apparsa come la rinuncia dell’Occidente a presidiare i diritti di una popolazione esposta a future repressioni. La realtà ha preso una piega diversa e la reazione dell’Europa con ogni probabilità ha spiazzato molte previsioni. Detto ciò oggi siamo di fronte a un problema diverso. Occorre decidersi, se si ritiene percorribile la strada di una “vittoria” sul campo come teorizzato da Boris Johnson, e non solo lui, oppure se si debba riaprire in ogni modo e con ogni mezzo il sentiero di una mediazione che muova da un immediato cessate il fuoco. Credo che la seconda sia la sola strada da imboccare se non vogliamo che il “dopoguerra”, perché un dopoguerra comunque ci sarà, ci precipiti in un passato remoto e nell’idea di una Guerra fredda 2.0 anziché verso il traguardo di una nuova Helsinki come indicato dallo stesso presidente Mattarella nel suo discorso all’assemblea del Consiglio d’Europa.

Nel suo libro, Rinascimento europeo (Il Saggiatore), non poteva prevedere questa crisi eppure un accenno alla pericolosità di Putin c’è. Sembra quasi una premonizione: citando un’intervista al presidente russo del 2019, sembra quasi suggerire come le mire imperiali di Mosca siano state messe solo in pausa dalla pandemia. Ritiene che questa escalation fosse inevitabile?
Inevitabile no e mi hanno colpito le parole del presidente della Corte costituzionale, Giuliano Amato, che ricordando il suo incontro del 2000 a Palazzo Chigi con un giovane Vladimir Putin ha spiegato come allora vi fosse da parte sua l’intenzione di rafforzare un legame di collaborazione e cooperazione con l’Europa e l’Occidente. Quell’occasione non è stata coltivata come si sarebbe potuto e dovuto fare, il che nulla toglie alla gravità imperdonabile della linea che Mosca ha assunto in questa vicenda. Nel libro ho citato quell’intervista di Putin al Financial times del giugno 2019 perché mi sembrava indicativa di…

L’intervista prosegue su Left del 6 maggio 2022 

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