La scrittrice cinese parla degli errori storici di Usa ed Europa nei confronti di Pechino, e anche di quelli attuali, a proposito della guerra in Ucraina. «Ci sono intellettuali cinesi vicini al partito che contestano l’appoggio alla Russia e auspicano un cambiamento di rotta»

La prima volta l’avevamo incontrata molti anni fa, quando viveva ancora in Cina. Dopo aver lavorato una decina di anni in una fabbrica “strategica”, per la precisione di missili intercontinentali, Lijia Zhang aveva iniziato la sua attività di “fixer” per i media stranieri. Lavoro che ha svolto con grande passione e grazie al quale ha conosciuto quello che dopo qualche anno sarebbe diventato suo marito e con il quale, quattro anni fa, ha preso la decisione di andare a vivere in Inghilterra. Dove tutt’ora vive, oramai affermata scrittrice e opinionista per vari giornali, assieme alle sue due figlie. L’abbiamo intervistata pochi giorni fa, in Toscana.

Lijia, tu scrivi cose abbastanza critiche sulla Cina, ma non ti consideri una dissidente, giusto? Anzi, ci tieni a precisare che vuoi lasciarti le porte aperte con il tuo Paese e che punti ad un ruolo di mediazione con l’Occidente. Che secondo te ha un’opinione errata della Cina. Quali sono i punti più importanti di questa “incomprensione”?
Intanto l’ignoranza. La maggior parte degli occidentali, americani in testa, ignora la storia della Cina, e questo è il primo, grave e pericoloso handicap. Che ne provoca un altro: l’arroganza. L’Occidente non si rende conto che il suo modello non è più quello universalmente accettato dal resto del mondo, e all’ignoranza aggiunge l’arroganza. Che la Cina, e altri Paesi “emergenti”, non sono più disposti ad accettare. Basterebbe un po’ più di umiltà, di capacità di approfondimento per risolvere buona parte dei problemi… e invece, lo stiamo vedendo in questi giorni, si punta ad acuire le differenze, anziché trovare obiettivi – e percorsi – comuni.

Parliamo della posizione cinese sull’Ucraina, immagino…
Sì, certo. Anche se non solo. Vedi, io vivo in Europa, e capisco perfettamente l’indignazione nei confronti della Russia, che personalmente condivido. Ma come cinese che ha ancora rapporti e contatti con il mio Paese di origine vi assicuro che il dibattito in Cina c’è e riesce anche ad affiorare non solo sui social, ma anche ad alto livello politico. Ci sono intellettuali accreditati, vicini al partito, che contestano l’appoggio alla Russia e auspicano un “ravvedimento” del governo, una correzione di rotta. Molti pensano che questo sia anche nell’interesse di Xi Jinping, che come sapete tra pochi mesi deve affrontare la sfida oramai non più scontata del congresso e del terzo mandato. L’Occidente fa male a sottovalutare questo aspetto e fa ancora peggio nel sollecitare la Cina a mediare, ma nello stesso tempo minacciandola di gravi conseguenze se non lo farà. Non è questo il modo migliore di collaborare.

È quello che la Cina, in varie occasioni, compreso l’ultimo vertice virtuale con l’Unione europea, continua a ripetere: attenzione, guardate che i vostri interessi non sono necessariamente quelli americani… Come europei, dovreste cercare di sganciarvi. Al che noi rispondiamo che anche la Cina dovrebbe sganciarsi dalla Russia.
Infatti, su questo sono assolutamente d’accordo. Il processo era iniziato, già da anni, con il lancio della cosiddetta nuova Via della Seta. Ma oggi è tutto più difficile. La guerra in Ucraina ha riavvicinato l’Europa agli Stati Uniti, ci vorrà del tempo prima che gli interessi culturali, commerciali ed economici riprendano il sopravvento su quelli politici e soprattutto militari.

Un’altra domanda che l’Occidente si pone, noi italiani compresi, è se dobbiamo avere “paura” della Cina. Sono in molti a non capire bene la differenza tra “assertività” e “aggressività”, provi a spiegarcela?
Ci provo. Ma prima lasciami dire che non è certo solo la Cina ad essere assertiva e/o aggressiva. Abbiamo assistito per secoli all’aggressività occidentale, e noi cinesi siamo tra i popoli che più l’hanno subita sia in termini politici che sociali, umanitari e culturali. Non dobbiamo dimenticare le umiliazioni che abbiamo subito. E anche oggi inviare leader politici, sia pure di secondo piano, a Taiwan per rinnovare l’impegno a difenderla in caso di attacco cinese non mi sembra molto saggio. È qualcosa che irrita la Cina, con la quale pretendete invece di trattare e di coinvolgere nella gestione delle vicende del mondo. Che poi anche Pechino oggi si diverta a provocare l’Occidente è un fatto. L’intensa attività nel Pacifico e in Africa è un fatto, e capisco le preoccupazioni occidentali. Ma al tempo stesso non penso siano espressione di una volontà egemonica della Cina, bensì di un inevitabile riposizionamento geopolitico. Ed è qui che l’Occidente deve fare attenzione. A non commettere lo stesso errore fatto a suo tempo con il Giappone, quando a seguito delle pressioni avute dalle grandi potenze europee e dagli Stati Uniti decise di “aprirsi”, alla fine del XIX secolo. L’Occidente per un po’ appoggiò la sua rincorsa, ma dopo la vittoria contro la Russia dello Zar cominciò a frenarne le aspirazioni. Non vorrei che questo succedesse, oggi, con la Cina. Tanto più che l’ascesa cinese di oggi è meno violenta di quella giapponese ai primi del Novecento.

Tu hai intenzione di tornare in Cina? O sei in qualche modo sulla lista… nera?
Penso e spero proprio di no. Anche se ora ho un passaporto inglese, mi sento ancora cinese e penso di avere il diritto dovere di criticare il mio Paese. Il patriottismo non significa accettare a scatola chiusa tutto quello che ti raccontano. Ma contribuire a migliorare la situazione. Anche con le critiche.

Un’altra questione controversa è quella sul razzismo. I cinesi sono razzisti?
Sì, temo di sì. Ma anche qui, bisogna capirci bene. Il razzismo cinese è più interno che esterno. Mi spiego: esiste per esempio lo sciovinismo han, l’etnia di gran lunga predominante. Ma nei confronti degli stranieri, migranti compresi, è meno diffuso e meno grave. Ed il governo sta facendo di tutto per eliminare i rischi di una emarginazione che nel lungo periodo potrebbe costituire un problema sociale. Negli ultimi giorni è stata approvata una legge che estende anche ai migranti, anche quelli non contrattualizzati, l’accesso ai sussidi e all’assistenza sanitaria. Una legge esemplare direi, che non penso sia stata ancora adottata in Occidente. Dove lo stato sociale è sicuramente più attrezzato e organizzato, ma non per tutti: i lavoratori precari, ad esempio, sono ancora molto discriminati.

E che mi dici della condizione femminile? Leggiamo di un sempre maggiore coinvolgimento delle donne nell’economia, e di un governo che non colpevolizza più le donne single, è vero?
La tendenza c’è, ma non è ancora scolpita nella società. Si tratta di nicchie, per ora limitate alle grandi città. Ma il processo è iniziato, è lento, ma in movimento costante. Come tutte le cose, in Cina. Penso al delicato tema della violenza domestica. Sono stati fatti enormi passi in avanti, oggi le donne che denunciano atti di violenza vengono protette e hanno buone possibilità di far valere le loro ragioni in tribunale.

Un’ultima domanda, Lijia. Ci sono due grandi leader spirituali in attesa di essere accolti in Cina. Il papa ed il dalai lama. Chi dei due sarà il primo?
Il papa, senza alcun dubbio. Il papa è anche un leader politico, e la Cina ha tutto l’interesse a colmare questa storica lacuna. Certo, c’è il problema di Taiwan. Ma sia Pechino che il Vaticano possono contare su una diplomazia esperta e sofisticata. Troveranno una soluzione…

L’intervista è stata pubblicata su Left del 6 maggio 2022 

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