Leone d’oro alla carriera alla Biennale di Venezia, il coreografo giapponese teorizza e sperimenta multiformi linguaggi. Una poetica originale e controcorrente frutto di «uno studio sul rapporto tra realtà umana e ambiente, sul movimento prima del movimento, sull’immaginazione»

Saburo Teshigawara è oggi uno dei punti di riferimento non solo per quanto riguarda la danza ma anche per l’integrazione fra movimento e azione coreografica. Il coreografo e ballerino giapponese ha da sempre coltivato la “logica” della bellezza nella globalità dei linguaggi. La sua ricerca arriva da lontano, da quella che è stata la più importante presenza nel panorama contemporaneo: insieme a Kei Miyata ha fondato Karas, una compagnia di danza che è stata un vero laboratorio a cielo aperto delle espressioni corporee contemporanee. La sua arte trova in Italia una culla preziosa e necessaria per diffondere una idea di equilibrio fisico e psichico allineato ad una idea di creatività assolutamente unica. Per la sua forza creativa e la sua innegabile ricerca di nuove ispirazioni ha ricevuto dalla Biennale di Venezia per la danza il Leone d’oro alla carriera che gli verrà consegnato il 23 luglio. Sempre a Venezia Teshigawara sarà in scena con Petrouchka di Igor Stravinsky (e fino all’11 giugno al Coronet Theater di Londra con Tristano e Isotta). Il Leone d’oro quindi come una precisa indicazione di ciò che è oggi il linguaggio misto delle arti performative. In questa intervista per Left Teshigawara ci parla degli aspetti più significativi della sua idea di arte.

Innanzitutto Teshigawara, cosa significa per lei lo spazio corporeo? Come lo comprende e come lo vive?
Ogni volta, per prima cosa, comincio ripensando cosa sia lo “spazio”. È diverso da “luogo”. Un luogo è definito da regole fisiche. Non importa quanto sia grande, un luogo è un certo intervallo fisico. Uno spazio permette il cambiamento del movimento e delle dinamiche energetiche, misurabili e non misurabili. Può creare un certo “infinito” o un cambiamento qualitativo. Crea un rapporto intimo con il tempo e lotta sempre con l’immobilità. E se dovessi chiedermi che cos’è lo spazio corporeo, arrivo a pensare che è una realtà in movimento, una vita, che non consente una completa regolazione o conferma da parte di valori numerici o simbolici. Comprendo, praticamente e fisicamente, quel movimento della vita – e la danza, per esempio, è un’attività che genera e si genera così. Un luogo si trasforma in spazio attraverso la danza. Potremmo dire che la danza sia un movimento fisico multidimensionale che mescola organico e inorganico?

Come lavora con la musica, e in particolare con quella di Bach?
Inizio con la registrazione di basi che mi servono per ritrovare le mie impressioni attraverso l’ascolto. Ma il mio scopo non è nemmeno quello di abbinare esattamente le note o i toni musicali al movimento. È come se mi facessi domande e trovassi risposte con la musica e così mi preparo affinché essa sia viva nel mio corpo. Sento la…

L’articolo prosegue su Left del 3 giugno 2022 

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