La pandemia ha portato a galla disparità sociali mai risolte, anche nella terra del Dragone. Come la condizione di vita dei lavoratori immigrati, lontani dai loro luoghi d’origine, spesso senza tutele. Ecco cosa è accaduto a Shanghai durante l’ultima quarantena

Una cabina telefonica come casa. A Shanghai una donna e il suo cane hanno vissuto per più di un mese nella piccola postazione durante il rigidissimo lockdown imposto per fermare la diffusione del Covid-19 nella capitale economica cinese. La donna, una lavoratrice migrante, è stata costretta a trasferirsi nella cabina telefonica dopo aver perso il lavoro a causa delle misure epidemiche. La sua è una delle tante storie strazianti generate dalla strategia “Zero Covid”, la politica adottata dal governo cinese che punta a mantenere l’ex Celeste Impero virus-free, facendo uso di metodi coercitivi: immediato isolamento delle aree infette, test di massa, e il tracciamento dei positivi attraverso l’impiego di app obbligatorie.

A due anni dal focolaio di Wuhan, mentre il resto del mondo torna lentamente alla normalità, la Cina – dove il tasso di vaccinazione tra gli anziani è ancora intorno al 50% – non accenna ad abbassare la guardia. A pagare il prezzo più elevato delle misure sanitarie sono proprio i migranti (mingong). Un terzo della popolazione cinese vive e lavora lontano dal proprio luogo di origine in condizioni di precarietà e, spesso, senza un regolare contratto, senza copertura contro gli infortuni. Senza diritti.

Dopo l’imposizione della quarantena, alcuni stabilimenti di Shanghai hanno continuato ad operare obbligando i propri operai a dormire in fabbrica, come richiesto dalle autorità. Altri invece hanno sospeso la produzione, lasciando molti mingong senza uno stipendio e un tetto sotto cui stare. Un’amara ricompensa per chi, come loro, ha contribuito attivamente alla lotta contro il Covid: sono i migranti che hanno collaborato alla costruzione degli ospedali temporanei. Sono i migranti che hanno distribuito viveri e beni di prima necessità ai concittadini rinchiusi in casa.

Secondo la Bbc, circa 20mila rider hanno continuato a girare per Shanghai assicurando le forniture essenziali durante le fasi più critiche del lockdown, quando la logistica statale ha lasciato i residenti a corto di medicine e provviste alimentari. Regole ad hoc hanno disposto libertà di movimento per gli spedizionieri, ma l’attuazione discrezionale delle direttive nei singoli complessi residenziali ha lasciato molti fattorini senza casa: additati come untori, una volta usciti dalla propria abitazione, si sono visti negare l’accesso al loro rientro. Non potendo permettersi un affitto hanno dormito in tenda, sotto i ponti, distesi sui cartoni. O nelle cabine del telefono.
Come altrove, anche in Cina, la pandemia ha portato a galla vecchie distorsioni sociali mai risolte. Le disparità di reddito sono una caratteristica ricorrente nelle metropoli cinesi, dove negli ultimi decenni si è…

L’articolo prosegue su Left del 3 giugno 2022 

Leggilo subito online o con la nostra App
SCARICA LA COPIA DIGITALE

SOMMARIO

 

</a