«Bisogna che si capisca che non si può disporre della vita delle persone con leggerezza. È importante che io mi possa curare, ma è anche importante che si faccia luce sul perché io e tanti altri soldati ci siamo ammalati». Risuonano ancora come un monito fortissimo le parole del maresciallo Marco Diana, morto nell’ottobre di due anni fa, a cinquant’anni, dopo una lunga lotta contro un tumore, conseguenza dell’esposizione all’uranio impoverito, durante missioni militari in Somalia e in Kosovo (Nato). «Certamente in Somalia gli americani hanno usato armi all’uranio impoverito. Ma non è l’unica spiegazione», denunciava nel 2005 intervistato da Il Manifesto. «Che cosa succede quando i proiettili esplodono ad altissime temperature? Che cosa accade quando un missile colpisce un carro armato, su un teatro di guerra ma anche in un poligono d’addestramento, a Quirra qui in Sardegna, ad esempio, o a Capo Teulada? Le ricerche dicono che in quelle circostanze si sprigiona una nube che contiene nano particelle di metalli pesanti, pericolose quanto l’uranio impoverito. Chi protegge i ragazzi che si esercitano a Capo Teulada e a Quirra? Chi protegge i militari che mandiamo a combattere non si sa bene perché e che ora crepano di cancro?» In questo modo in Italia sono morti centinaia di militari che avevano partecipato alle missioni Nato nei Balcani e in Iraq. Il pensiero corre anche a Fabio Maniscalco, archeologo che tra il 1995 ed il 1998 da ufficiale dell’esercito italiano monitorò la situazione del patrimonio culturale della Bosnia ed Erzegovina, rimettendoci la vita, per esposizione all’uranio impoverito utilizzato dalle truppe Nato. E ancora altri casi devono essere raccontati altrettanto drammatici e urgenti. Ma grazie alla lotta di Marco Diana (che ha dovuto combattere per dieci anni con la malattia e con le istituzioni per vedere riconosciuta la sua causa di servizio) grazie all’impegno dell’avvocato Angelo Fiore Tartaglia la correlazione fra gravi forme tumorali e uranio impoverito è diventata giurisprudenza in Italia come scrive Gregorio Piccin nella sua inchiesta per Left che solleva questioni dirimenti rispetto al presente e all’invio di armamenti in Ucraina fra cui ve ne sono alcuni che contengono e rilanciano torio, fortemente radioattivo. In Francia - dove se ne è discusso pubblicamente - Macron ha ammesso l’invio di missili pericolosi anche sotto questo riguardo. In Italia il governo Draghi ha imposto il segreto sul tipo di armamenti mandati a Kiev. Quali e quanti provengono da vecchi arsenali Nato? La domanda è lecita e la risposta è quanto mai urgente. Draghi risponderà anche su questo quando il 21 giugno riferirà in Parlamento in vista del Consiglio europeo? Sollecitiamo che a questo riguardo sia avanzata una interrogazione parlamentare. Ricordiamo anche che per quella data il M5s aveva chiesto un confronto in Aula e un nuovo voto sull’invio di armi in Ucraina, per imboccare una strada diversa rispetto al decreto votato dagli stessi pentastellati che autorizzava l’invio di armi fino a fine anno. Sinistra italiana e il gruppo parlamentare ManifestA (che hanno votato contro quel decreto) tornano a tematizzare la questione con urgenza. Ma - come emerge dall’approfondimento di Leonardo Filippi - M5s, Pd, Lega pur di non far cadere questo governo delle larghe intese cercano un accordo e una mediazione. Le armi per l’Ucraina sono il paravento dietro il quale si nasconde l’Europa, impotente dal punto di vista della trattativa diplomatica e divisa sulle sanzioni denuncia, Nicola Fratoianni intervistato da Left. Tanto che sul gas ancora non si è fatto praticamente niente e continuiamo ad acquistarlo, perfino in rubli, finanziando la guerra di Putin, il quale non disdegna di utilizzare armi proibite, comprese le bombe a grappolo e quelle al fosforo, e possiede missili e carri armati di antica fabbricazione, risalenti ad epoche in cui l’uso di uranio impoverito era una prassi. Ma l’Occidente che si dice diverso e civile? E l’Italia che gioco gioca in questa partita? Vogliamo aspettare di vedere gli effetti di una “epidemia” di contaminati dalle radiazioni dell’uranio impoverito tra i civili ucraini e i soldati di entrambi i fronti o vogliamo fare la nostra parte oggi per prevenire questa ulteriore strage?
L'editoriale è tratto da Left del 17 giugno 2022 
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«Bisogna che si capisca che non si può disporre della vita delle persone con leggerezza. È importante che io mi possa curare, ma è anche importante che si faccia luce sul perché io e tanti altri soldati ci siamo ammalati». Risuonano ancora come un monito fortissimo le parole del maresciallo Marco Diana, morto nell’ottobre di due anni fa, a cinquant’anni, dopo una lunga lotta contro un tumore, conseguenza dell’esposizione all’uranio impoverito, durante missioni militari in Somalia e in Kosovo (Nato).

«Certamente in Somalia gli americani hanno usato armi all’uranio impoverito. Ma non è l’unica spiegazione», denunciava nel 2005 intervistato da Il Manifesto. «Che cosa succede quando i proiettili esplodono ad altissime temperature? Che cosa accade quando un missile colpisce un carro armato, su un teatro di guerra ma anche in un poligono d’addestramento, a Quirra qui in Sardegna, ad esempio, o a Capo Teulada? Le ricerche dicono che in quelle circostanze si sprigiona una nube che contiene nano particelle di metalli pesanti, pericolose quanto l’uranio impoverito. Chi protegge i ragazzi che si esercitano a Capo Teulada e a Quirra? Chi protegge i militari che mandiamo a combattere non si sa bene perché e che ora crepano di cancro?»

In questo modo in Italia sono morti centinaia di militari che avevano partecipato alle missioni Nato nei Balcani e in Iraq. Il pensiero corre anche a Fabio Maniscalco, archeologo che tra il 1995 ed il 1998 da ufficiale dell’esercito italiano monitorò la situazione del patrimonio culturale della Bosnia ed Erzegovina, rimettendoci la vita, per esposizione all’uranio impoverito utilizzato dalle truppe Nato. E ancora altri casi devono essere raccontati altrettanto drammatici e urgenti. Ma grazie alla lotta di Marco Diana (che ha dovuto combattere per dieci anni con la malattia e con le istituzioni per vedere riconosciuta la sua causa di servizio) grazie all’impegno dell’avvocato Angelo Fiore Tartaglia la correlazione fra gravi forme tumorali e uranio impoverito è diventata giurisprudenza in Italia come scrive Gregorio Piccin nella sua inchiesta per Left che solleva questioni dirimenti rispetto al presente e all’invio di armamenti in Ucraina fra cui ve ne sono alcuni che contengono e rilanciano torio, fortemente radioattivo. In Francia – dove se ne è discusso pubblicamente – Macron ha ammesso l’invio di missili pericolosi anche sotto questo riguardo. In Italia il governo Draghi ha imposto il segreto sul tipo di armamenti mandati a Kiev. Quali e quanti provengono da vecchi arsenali Nato? La domanda è lecita e la risposta è quanto mai urgente. Draghi risponderà anche su questo quando il 21 giugno riferirà in Parlamento in vista del Consiglio europeo? Sollecitiamo che a questo riguardo sia avanzata una interrogazione parlamentare.

Ricordiamo anche che per quella data il M5s aveva chiesto un confronto in Aula e un nuovo voto sull’invio di armi in Ucraina, per imboccare una strada diversa rispetto al decreto votato dagli stessi pentastellati che autorizzava l’invio di armi fino a fine anno. Sinistra italiana e il gruppo parlamentare ManifestA (che hanno votato contro quel decreto) tornano a tematizzare la questione con urgenza. Ma – come emerge dall’approfondimento di Leonardo Filippi – M5s, Pd, Lega pur di non far cadere questo governo delle larghe intese cercano un accordo e una mediazione. Le armi per l’Ucraina sono il paravento dietro il quale si nasconde l’Europa, impotente dal punto di vista della trattativa diplomatica e divisa sulle sanzioni denuncia, Nicola Fratoianni intervistato da Left.

Tanto che sul gas ancora non si è fatto praticamente niente e continuiamo ad acquistarlo, perfino in rubli, finanziando la guerra di Putin, il quale non disdegna di utilizzare armi proibite, comprese le bombe a grappolo e quelle al fosforo, e possiede missili e carri armati di antica fabbricazione, risalenti ad epoche in cui l’uso di uranio impoverito era una prassi. Ma l’Occidente che si dice diverso e civile? E l’Italia che gioco gioca in questa partita? Vogliamo aspettare di vedere gli effetti di una “epidemia” di contaminati dalle radiazioni dell’uranio impoverito tra i civili ucraini e i soldati di entrambi i fronti o vogliamo fare la nostra parte oggi per prevenire questa ulteriore strage?

L’editoriale è tratto da Left del 17 giugno 2022 

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Direttore responsabile di Left. Ho lavorato in giornali di diverso orientamento, da Liberazione a La Nazione, scrivendo di letteratura e arte. Nella redazione di Avvenimenti dal 2002 e dal 2006 a Left occupandomi di cultura e scienza, prima come caposervizio, poi come caporedattore.