Il 21 e 22 giugno Draghi andrà in Parlamento per le comunicazioni in vista del Consiglio Ue, dove si parlerà di Ucraina. Sarà un test per la maggioranza, scossa dalle forze che criticano la politica estera del governo. Ne parliamo con Boldrini, Brescia, Fratoianni e Suriano

Armi sì, armi no. Ad oltre cento giorni dalla decisione di Putin di invadere l’intera Ucraina, l’invio di materiali bellici verso Kiev è uno dei temi che più tiene banco nel dibattito pubblico italiano. E pure in Parlamento. Tanto che si è arrivati ad ipotizzare che possa far vacillare il governo. Il 21 e 22 giugno, infatti, Draghi riferirà in Parlamento (prima al Senato e poi alla Camera) in vista del Consiglio europeo, che avrà all’ordine del giorno anche la questione Ucraina. E lì lo attenderanno le forze politiche più critiche verso la politica estera di Palazzo Chigi. Al termine dell’intervento del presidente del Consiglio, come di consueto, si voteranno le risoluzioni sul suo mandato. E proprio in quei documenti, in un primo momento, si era detto che sia M5s, che Lega e parte delle opposizioni avrebbero potuto inserire un passaggio sullo stop alla spedizione di armi in Ucraina, mossa che avrebbe potuto mettere a repentaglio la tenuta dell’esecutivo.

Prima di capire cosa accadrà in Parlamento, però, è bene rispondere ad una domanda: perché persino leader dal curriculum pacifista a dir poco scarno – vedi Salvini, ma anche Conte – sono così attratti dal tema? Tanto più che il nostro sostegno bellico a Kiev è piuttosto marginale se paragonato agli altri attori nello scenario internazionale. Secondo i dati dell’Ukraine support tracker del Kiel institute for the World economy, che tiene conto degli aiuti militari, finanziari e umanitari all’Ucraina, al 10 maggio l’Italia aveva contribuito a rafforzare la difesa di Kiev per un totale di 150 milioni di euro, ed era al decimo posto nella classifica dei Paesi che hanno fornito questo tipo di sostegno. Dietro Usa (che da soli hanno da poco stanziato un nuovo pacchetto da ben 20 miliardi di aiuti militari), Regno Unito, Polonia e Germania, Canada e Francia. Ma anche dopo potenze più modeste come Norvegia, Estonia e Lettonia. In questo calcolo, va detto, non è considerata l’ultima tranche di aiuti bellici italiani, la terza, varata a metà maggio. E le rilevazioni dell’istituto si fermano ad un mese fa. Ma in sostanza poco cambia. Il punto, quello vero, è che i sondaggi politici parlano chiaro. Il 51,5% degli italiani è contrario all’invio di armi in Ucraina, a fronte di un 38,2% favorevole (Euromedia, 25 maggio). E il 44% sostiene che la Nato dovrebbe rifiutarsi di inviare a Kiev armi “più pesanti” di quelle inviate finora, a fronte di un 25% di opinioni opposte (Emg different, 31 maggio). Con un occhio ai consensi il fronte pacifista anti-Draghi potrebbe essere più largo di quanto previsto. Ma cosa accadrà davvero in aula nei prossimi giorni?

«Il nostro obiettivo non è far cadere il governo, né indebolirlo a livello internazionale, ma aprire la strada per un negoziato di pace» rassicura il…

L’articolo prosegue su Left del 17 giugno 2022 

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