La siccità crescente, i conflitti, la violazione sistematica dei diritti, la fame hanno spinto oltre 100 milioni di persone ad abbandonare le proprie case, i propri affetti, il proprio lavoro per sopravvivere. Un’emergenza che non risparmia nessun continente. Europa compresa

I numeri non rendono giustizia. Dietro le cifre ci sono vicende individuali e diverse fra loro, ci sono tracce dolorose del passato, c’è la sofferenza del presente, c’è il dubbio di un futuro percepito come indecifrabile che a volte si traduce nel nulla. Ma anche i numeri servono. Al 23 maggio erano oltre 100 milioni i profughi e sfollati nel mondo – cifra stimata dall’Unhcr -, persone, uomini, donne, sempre più spesso bambini, costretti a fuggire dalle proprie case a causa di guerre, violenze, violazioni dei diritti umani, persecuzioni. Molti (53,2 mln), sono rimasti in aree più sicure del proprio Paese ma dopo aver perso casa, lavoro, vita quotidiana, molti altri hanno dovuto varcare le frontiere.

L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim), sempre a maggio, aveva calcolato che l’anno scorso gli sfollati interni erano 59,1 milioni, quattro milioni in più rispetto al 2020 quando, anche a causa della pandemia, sono diminuiti i tentativi di lasciare il Paese in cui si vive. Sono poi divenuti normalità gli eventi metereologici estremi: inondazioni, tempeste, cicloni, hanno provocato circa 23,7 milioni di migrazioni interne nel 2021, principalmente nei Paesi del Sud Ovest asiatico e del Pacifico, senza contare quanti hanno dovuto spostarsi a seguito di siccità e aumento delle desertificazioni. Non si tratta solo di un orrendo record, ma della fotografia amara di un pianeta governato da leggi senza pietà, flagellato da decenni in cui la parola conflitto sembra essere divenuta la sola chiave interpretativa di ogni avvenimento.

Oggi abbiamo l’occhio giustamente rivolto alla crisi ucraina, con circa 8 milioni di profughi di cui almeno 6 hanno dovuto lasciare il Paese, ma questi costituiscono una parte del tutto. Già dalla fine dello scorso anno si erano aggravate le situazioni in Etiopia, Mali, Burkina Faso, Nigeria, Repubblica Democratica del Congo, Yemen, Afghanistan e Myanmar, ma per chi si occupa di questi temi, anche in questo caso si tratta soprattutto di instabilità in evoluzione. L’emergenza in Siria, iniziata con la guerra civile 11 anni fa, sta riesplodendo. Le minacce turche di nuovi attacchi verso la frontiera settentrionale per eliminare le aree curde, gli attentati compiuti dall’esercito israeliano, quelli jihadisti, le repressioni di Assad, stanno facendo intensificare i tentativi di fuga nonostante molte strade siano precluse. Anche i confini nord dell’Iraq, da aprile attaccati dall’esercito di Erdogan stanno costringendo le popolazioni curde e yazide a spostarsi verso aree più sicure. La crisi alimentare e gli scontri militari spingono invece a…

L’articolo prosegue su Left del 17 giugno 2022 

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