Dopo 30 anni di riforme negate, potrebbe essere finalmente approvata la legge che riconosce la cittadinanza al minore straniero nato in Italia o arrivato entro i 12 anni, e che abbia frequentato almeno 5 anni di scuola. Non è lo ius soli, ma sarebbe una rottura col passato

Tra i temi che in maniera ciclica si riaffacciano nel dibattito pubblico, la riforma della cittadinanza ha un ruolo di primo piano. Ci separano trent’anni dall’introduzione della legge attualmente in vigore. Più volte in questi tre lunghi decenni l’approvazione di una nuova disciplina è sembrata a portata di mano. Puntualmente, le iniziative legislative finalizzate alla riforma della legge n. 91 del 1992 sono state interrotte per motivazioni contingenti – inerzia, assenza di coraggio, mancanza di una maggioranza parlamentare.
È in corso un nuovo iter parlamentare che potrebbe concludersi con l’approvazione di una nuova legge. Si tratta della proposta «ius scholae» elaborata da Giuseppe Brescia, presidente alla Commissione affari costituzionali della Camera.
L’esito positivo del percorso parlamentare di riforma non è scontato. Ci sono molte variabili: la tenuta del governo, la posizione dei gruppi parlamentari, la fine della legislatura che incombe. Le prossime settimane saranno cruciali: il 29 giugno è previsto che il testo approdi in aula; dovrà essere discusso e approvato dalla Camera per poi passare all’esame del Senato. È una corsa contro il tempo densa di incognite.

Una proposta di mediazione
La locuzione utilizzata per definire il testo elaborato da Brescia è esemplificativa del suo contenuto. La proposta presentata dal relatore alla Commissione affari costituzionali il 3 marzo prevede che il minore straniero nato in Italia o che vi ha fatto ingresso entro il compimento del dodicesimo anno di età, che abbia risieduto legalmente e senza interruzioni in Italia e che abbia frequentato regolarmente, nel territorio nazionale, per almeno cinque anni uno o più cicli scolastici, otterrebbe la cittadinanza italiana. La cittadinanza si acquisirebbe a seguito di una dichiarazione di volontà in tal senso espressa, entro il compimento della maggiore età dell’interessato, da entrambi i genitori legalmente residenti in Italia o da chi esercita la responsabilità genitoriale, all’ufficiale dello stato civile del comune di residenza del minore.
La frequenza scolastica è al centro della proposta. Se l’iter di riforma dovesse concludersi positivamente, la condizione giuridica dei minori in linea con i criteri disegnati da Brescia cambierebbe significativamente. L’esclusione dalla cittadinanza italiana produce effetti molteplici e stratificati. Durante la minore età sono spesso poco visibili; col passare degli anni diventano sempre più marcati. Con il compimento dei diciotto anni la privazione della cittadinanza italiana diventa un problema strutturale. Chi è privo della cittadinanza ha molte più difficoltà a spostarsi attraverso i confini, ha spesso una posizione subalterna nel mercato del lavoro, è escluso dal pieno godimento del diritto di voto. In definitiva, l’esclusione dalla cittadinanza produce diseguaglianze strutturali che derivano dalla condizione giuridica dei propri genitori: è inaccettabile. L’idea di…

L’autore: Francesco Ferri è programme developer migration di ActionAid

L’articolo prosegue su Left del 24 giugno 2022 

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