Con una sentenza che cancella la celebre Roe vs Wade del 1973, la Corte suprema Usa ha eliminato il diritto all’aborto a livello federale. Una svolta sconcertante che rischia di rafforzare nel mondo posizioni ostili all’affermazione dei diritti sessuali e riproduttivi. In Italia, la Chiesa, a partire da Bergoglio ci sta già provando

L’aborto è legale negli Usa dal 1973, quando la Corte suprema americana emise la famosa sentenza Roe vs Wade. Dopo quasi 50 anni, il 24 giugno, la stessa Corte si è pronunciata sul caso Dobbs vs Jackson women’s health organization, ossia sulla legittimità di una legge del Mississippi, che vietando l’aborto dopo la quindicesima settimana, violava apertamente i principi affermati nella Roe vs Wade.

Nella causa contro il governatore del Texas Henry Wade, Jane Roe, pseudonimo di Norma Mc Corvey, chiedeva che le fosse riconosciuta la possibilità di interrompere la terza gravidanza, in virtù del diritto alla privacy considerata come libera scelta riguardo a ciò che attiene alla sfera più intima di una persona. Allora, la Corte suprema stabilì che il diritto alla privacy, inteso come diritto all’autodeterminazione, aveva fondamento costituzionale, e ne definì la universalità; erano pertanto illegittime in tutti gli Stati le leggi che vietavano l’aborto. Nel 1992 questo principio fu ribadito e consolidato con la sentenza Planned parenthood of Southeastern Pennsylvania vs Casey.
Sebbene l’aborto fosse già stato legalizzato nel Regno Unito con l’Abortion act del 1967, la Roe vs Wade ha avuto un’importanza fondamentale, perché per la prima volta si ammetteva il diritto all’aborto, un diritto umano fondamentale, sulla base dei principi di autonomia e autodeterminazione. In virtù della dichiarata universalità del principio di autonomia, gli Stati Uniti non si sono dati una legge federale sull’aborto.

La sentenza della Corte suprema del 24 giugno ha di fatto cancellato la Roe vs Wade, riportando drammaticamente indietro gli Stati Uniti d’America, ad un periodo in cui i diritti civili erano privilegi per pochi. In essa si sostiene che la Costituzione non fa alcun riferimento al diritto all’aborto, e che dunque i singoli Stati sono nel pieno diritto di approvare leggi che lo vietano. Nel Texas, nel Missouri e in almeno altri 13 Stati, quelle leggi sono già pronte. A breve, secondo le stime del Guttmacher institute, l’aborto sarà vietato o pesantemente limitato in 26 Stati.
Se le donne vogliono l’aborto legale, affermano i giudici della Corte suprema, non devono far altro che votare, per cercare di eleggere democraticamente politici non contrari ad esso. Sono le regole della democrazia, bacchettano candidamente e arrogantemente quei giudici, per i quali le disuguaglianze e le ingiustizie fanno parte del gioco; nella loro delirante interpretazione è normale che i diritti all’autodeterminazione e alla salute siano subordinati agli equilibri e alle maggioranze politiche del momento e del luogo.

La sentenza rischia di rafforzare nel mondo posizioni ostili all’affermazione dei diritti sessuali e riproduttivi; di fronte a queste minacce sempre più concrete, l’8 giugno il Parlamento europeo, riunito in sessione plenaria, ha votato la “Risoluzione sulle minacce globali ai diritti all’aborto” che, auspicando che il presidente Biden e la sua amministrazione possano garantire in ogni caso l’accesso all’aborto alle donne americane, «chiede che l’Ue e i suoi Stati membri includano il diritto all’aborto nella Carta dei diritti fondamentali».

«L’accesso all’aborto viene eroso», si legge nella risoluzione, che cita come esempi Malta, dove l’aborto è ancora vietato, la Polonia, l’Ungheria, la Slovacchia, ed anche l’Italia; il Parlamento europeo richiama tutti i Paesi membri a «depenalizzare l’aborto e a eliminare e combattere gli ostacoli all’aborto sicuro e legale e all’accesso all’assistenza sanitaria e ai servizi sessuali e riproduttivi».

Come negli Usa, anche in Italia la legalizzazione dell’aborto ha preso le mosse da una sentenza, ma ad essa è seguita una legge, la 194 del 1978. Pur riconoscendo che la tutela della vita dell’embrione/feto ha fondamento nell’art. 2 della nostra Costituzione, nel 1975 la Corte costituzionale affermò il principio secondo il quale il diritto alla salute di chi è nata prevale sul diritto alla vita di chi non è ancora nato. Nessuno spazio all’autodeterminazione, dunque; l’aborto è ammesso solo per garantire il diritto alla salute delle donne.

Nonostante la debolezza ideologica di tale impianto, la legge è solida, ed essendo…

*L’autrice: La ginecologa Anna Pompili è componente del consiglio generale dell’Associazione Luca Coscioni e cofondatrice di Amica (Associazione medici italiani contraccezione e aborto)

L’articolo prosegue su Left dell’1 luglio 2022 

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